Cronaca / Bergamo Città
Venerdì 11 Settembre 2020
Vessazioni al collega, assolto primario
«Fine di un calvario durato sei anni»
Ritenute insussistenti tutte le accuse a Cassisi, capo della chirurgia maxillo facciale. «Le mie erano sfuriate di un padre di famiglia». Il suo legale: lui è la vittima, non certo il carnefice.
L’avviso di garanzia gli era stato notificato il 25 febbraio 2014. Il 22 giugno, a più di sei anni di distanza, Antonino Cassisi, primario di Chirurgia maxillo-facciale dell’ospedale Papa Giovanni è stato assolto dai 12 capi di accusa perché «il fatto non sussiste». Il collegio presieduto da Giovanni Petillo è entrato nel merito, assolvendo con la formula dell’insussistenza del fatto anche a riguardo degli episodi che risultavano prescritti. «Un calvario che ha distrutto la mia famiglia e me personalmente», ha commentato ieri il medico.
Cassisi – in questi anni balzato agli onori delle cronache per interventi chirurgici eccezionali, come quello su una bimba di 16 mesi nata con due facce - doveva rispondere di peculato, abuso d’ufficio, falso e maltrattamenti nei confronti dell’ex collega di reparto Paolo Amaddeo, costituitosi parte civile al processo insieme alla dottoressa Mara Cazzaniga presunta vittima di un abuso d’ufficio: reati per i quali il pm Giancarlo Mancusi aveva invocato una condanna a 4 anni e 3 mesi. Il peculato riguardava fatture per una somma di 300 euro che l’imputato non avrebbe rilasciato a pazienti visitati in regime di intramoenia; cifra, seppur modesta, che per l’accusa sarebbe finita nelle tasche del medico. La sua segretaria, condannata in via definitiva a un anno per concorso in peculato, in aula aveva escluso responsabilità del primario. I falsi concernevano i verbali degli interventi in sala operatoria, mentre gli abusi d’ufficio venivano contestati per la presunta alterazione delle liste d’attesa e per le presunte pressioni su alcuni aspiranti chirurghi per indurli a desistere. Infine, i maltrattamenti in reparto nei confronti di Amaddeo, che il pm aveva definito «vessazione sistematica» e che per l’avvocato di parte civile Federico Pedersoli erano «tanti, costanti e abituali», l’equivalente di «un mobbing penale» dal 2011 al 2014, riconosciuto nella causa civile con un risarcimento di 50 mila euro transato dal «Papa Giovanni».
L’avvocato Dario Romano dello studio di Giulia Bongiorno, durante l’arringa aveva invece sottolineato che «in questa vicenda Cassisi è la vittima, non il carnefice. Il grande accusatore (Amaddeo, ndr) è accecato dall’astio, ossessionato dalla mancata nomina a primario al posto di Cassisi». «Già dal primo giorno in cui sono arrivato in reparto - ha ricordato ieri Cassisi al nostro giornale -, questa persona mi ha fatto la guerra. Lui era lì da molto tempo e pensava di essere destinato alla direzione del reparto. Ma è l’azienda ospedaliera che mi ha dato l’incarico e io ho obbedito, non è che sono arrivato da un giorno all’altro dicendo “adesso qui comando io”».
Cassisi si è sempre presentato in aula. «Ho cercato di difendermi, forte della mia onestà e in nome della verità – ha affermato ieri -. Ho sempre fatto del bene alla comunità bergamasca e ho sempre confidato che la verità sarebbe venuta a galla. E così è andata. Mi sono difeso portando i documenti. Il mio obiettivo, vista anche la mia età, è sempre stato quello dei medici di una volta: curare i pazienti, costituire una squadra e formare i giovani. E ho continuato a farlo nonostante questo macigno sulle spalle. Le mie sfuriate? Sono una persona spontanea e il mio comportamento è quello di un padre di famiglia chiamato a gestire persone e a prendersi delle responsabilità. Qual è il padre che non ha mai sgridato un figlio per il bene di quest’ultimo?».
Soddisfatto l’avvocato Romano: «Valuteremo se intraprendere iniziative, ora non è il momento». Lapidario Amaddeo: «Rispetto le sentenze e conosco i fatti. Mi sono sempre attenuto a quelli».
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