Vaccini Covid, tutto ciò che serve sapere
L’intervista ad Alberto Mantovani

Il direttore scientifico di Humanitas, uno dei più influenti scienziati italiani nel mondo, sgombra il campo da tutte le «fake news» che circolano attorno ai vaccini oggi utilizzati per contrastare il Covid-19. Mascherina, distanziamento sociale e lavaggio delle mani devono essere mantenuti.

I vaccini sono sicuri ed efficaci, e sono l’arma migliore in nostro possesso per liberarci una volta per tutte dal Covid-19, il virus che da febbraio ad oggi ha mietuto nel mondo quasi 2 milioni di vittime. Nell’intervista che segue, il prof. Alberto Mantovani, patologo e immunologo, direttore scientifico dell’Istituto clinico Humanitas di Milano, uno dei più influenti scienziati italiani nel mondo, fa piena luce su tutto quello che oggi conosciamo del Covid e dei vaccini per contrastarlo, sgombrando il campo da tutte quelle «fake news» che avvelenano una corretta informazione.

Esistono dati sull’efficacia dei vaccini anti-Covid?
«I dati ci sono, sono a disposizione delle agenzie regolatorie che li rivedono in quella che viene definita una “rolling review”. Alcuni dei dati sono disponibili su riviste scientifiche di primo livello come “Lancet” e “New England Journal of Medicine”. Tuttavia, sebbene in questa situazione di pandemia la ricerca sia andata a una velocità senza precedenti, la pubblicazione dei dati sulle riviste scientifiche richiede tempo, proprio perché c’è un processo di revisione. Un nostro lavoro, ad esempio, messo in “open access” (ad accesso aperto - n. d.r.) a giugno è diventato disponibile online a novembre. Alcuni fanno la scelta di mettere i lavori online “aperti” anche quando non sono ancora stati sottoposti alle riviste. In generale ho fiducia che le dichiarazioni riflettano i dati, tuttavia continuo a credere che comunicare dati preliminari di efficacia sia inappropriato e controproducente come modalità e come tempi. Come nel caso di AstraZeneca: dopo aver comunicato i risultati preliminari, il lavoro uscito su “Lancet” afferma che la risposta immunitaria è buona anche nelle persone anziane e ha comunicato una osservazione rilevata in seguito a un errore. AstraZeneca, ad aprile, aveva riscontrato un errore di somministrazione del proprio vaccino per cui alcuni volontari avevano ricevuto metà della prima dose del vaccino: hanno deciso di andare avanti con la sperimentazione e il risultato finale, in circa 2700 persone, è stato che la mezza dose funziona quanto o addirittura meglio della dose piena. Non è la prima volta che in medicina un errore porta a risultati positivi. Ricordiamoci che ci muoviamo in una situazione di emergenza».

L’iter di sperimentazione dei vaccini è cambiato a causa dell’emergenza?
«No. È certo che non sono stati saltati passaggi nell’iter di sperimentazione, non si è ridotto il numero dei soggetti entrati nella sperimentazione. Fase I, II e III sono state fatte secondo le regole: si è alleggerito solo il processo burocratico ed è stata utilizzata la rolling review. Dobbiamo però dire che non si tratta di un iter di approvazione “normale”. Infatti non era mai successa una pandemia così, né era accaduto di realizzare un vaccino in così poco tempo. Tuttavia, il metodo di realizzazione non è cambiato. Ricordiamo che questo iter è giustificato dalla situazione di emergenza globale e di totale incertezza in cui siamo. Ricordiamo ancora che l’approvazione da Fda (l’agenzia per il farmaco statunitense) ed Ema (l’agenzia europea) è di emergenza o condizionale: i vaccini sono stati e verranno monitorati in modo ancora più stringente di quanto non si faccia normalmente».

Come è stato possibile arrivare a produrre il vaccino così rapidamente?
«È stato fatto, ed è ancora in corso, uno sforzo senza precedenti per mettere a punto e produrre uno o più vaccini in tempi rapidi. La ricerca scientifica precedente, anche in settori apparentemente lontani come il cancro, ed enormi investimenti pubblici e privati hanno consentito il miracolo di avere diversi vaccini in meno di un anno. L’industria ha investito “alla cieca” nella produzione di vaccini di cui ancora non si conosceva l’efficacia. Infine, l’industria ha condiviso siti produttivi per fare fronte all’emergenza. Sebbene sia più facile produrre questi vaccini rispetto al vaccino anti-influenzale, sono stati fatti enormi sforzi dal punto di vista produttivo che vanno al di là delle aspettative, perché è stata aumentata come mai avvenuto prima la capacità di produzione globale . Ma anche qui ci vorrà tempo per completare l’opera».

A cosa serve la cosiddetta «fase di sorveglianza»?
«L’introduzione all’uso di un farmaco, e ancora più di un vaccino, è seguita sempre e di norma da una fase di sorveglianza. Per spiegarla facciamo un esempio: l’aspirina non deve essere somministrata ai bambini per dolore e febbre, meglio usare il paracetamolo. Questo perché, a seguito della sorveglianza sull’uso dell’aspirina in tantissimi bambini, si è visto che, seppur in un numero bassissimo di casi, l’aspirina può causare un problema al midollo osseo. Con i vaccini si passa dall’inoculo a 10 mila persone, a 100 mila, a milioni di persone, e quindi bisogna controllare gli effetti inattesi collaterali rari. In più, con i vaccini, dobbiamo ricordare che inoculiamo una sostanza in persone sane. Quindi l’attenzione deve essere ancora maggiore, sia per il numero di persone a cui i vaccini vengono somministrati, sia perché sono persone sane. Un’attenzione ancora maggiore va prestata quando viene data una approvazione di emergenza o condizionale come in questo momento per il Covid-19»

Bisognerà eseguire il richiamo del vaccino?
«Sì, sarà necessario farsi somministrare due dosi del vaccino. Il richiamo avviene dopo ventuno (o ventitrè) giorni dalla prima dose».

Perché i vaccini anti-Covid devono essere somministrati in due dosi?
«Alcuni vaccini sono stati studiati con lo scopo di essere somministrati in una dose, ma i dati, durante la sperimentazione, hanno indirizzato verso le due dosi. Il vaccino di Oxford, così come altri, è partito dall’ipotesi di una dose e poi è andato su due dosi. Anche per i vaccini che si stanno affacciando adesso c’è un’ipotesi di richiamo come stiamo facendo per altri vaccini».

Quanto dura la protezione dei vaccini?
«Per ora è prematuro parlarne perché ci sono pochi dati. Da un vaccino ci aspettiamo che ci protegga dall’infezione, protegga contro la malattia e/o da una sua forma grave, ci protegga contro la trasmissione del virus. Sono chiaramente azioni collegate tra loro. In questo momento, i dati disponibili riguardano i primi due punti. I dati sull’efficacia e sulla sicurezza dei vaccini si riferiscono a due mesi dopo il secondo inoculo. Abbiamo motivi per pensare che la risposta immunitaria rimanga a buoni livelli per tempi più lunghi, ma ricordiamo che noi chiediamo al vaccino una copertura di almeno una stagione invernale, di cui però non c’è ancora l’evidenza dai dati. Stiamo somministrando vaccini che hanno due mesi di efficacia comprovata. Quindi potrebbe essere che, quando si arriverà a somministrare il vaccino in estate, ad esempio, ci saranno dati di efficacia più solidi».

Ci si può vaccinare sia contro Covid-19 sia contro l’influenza?
«Non ci sono motivi per pensare il contrario. Infatti, il sovraccarico da vaccinazione è uno dei miti dei “No-Vax”. C’è l’idea che somministrare un vaccino pentavalente in un bimbo di pochi mesi sia tremendo per il suo sistema immunitario. Ricordiamo che il sistema immunitario di un neonato di tre mesi affronta il vaccino pentavalente come fosse un “gioco da ragazzi” rispetto a quello che dovrà affrontare all’asilo nido, o rispetto a quello che ha affrontato discendendo nel canale del parto della mamma o quando ha cominciato a respirare o ad attaccarsi al seno materno la prima volta. Pertanto, non c’è rischio nel fare più vaccini. Solo nelle persone anziane è raccomandato farli a distanza di qualche settimana l’uno dall’altro. In ogni caso, è bene parlarne con il proprio medico di medicina generale».

Tra i vaccini oggi utilizzati quali sono i più sicuri?
«Ci vorranno alcuni mesi per verificare la validità dei vaccini anti-Covid non solo in termini di sicurezza ed efficacia, ma anche di protezione dall’infezione, il livello di difesa degli anziani fragili e la durata della risposta immunitaria. Alcune case farmaceutiche stanno producendo vaccini basati su proteine ricombinanti, come molti di quelli che utilizziamo già oggi, ma gli studi termineranno più tardi rispetto ai vaccini che si basano su tecniche molto più innovative come l’mRna (l’Rna messaggero - n.d.r.) e i vettori virali. Le due piattaforme utilizzate sono la mRna (per il vaccino Moderna e Biontech/Pfizer), fortemente innovativa, e la adenovirus (utilizzata per il vaccino Oxford/AstraZeneca, per un vaccino russo, per un vaccino cinese, per il vaccino “italiano” Reithera, e per il vaccino della Janssen, l’azienda farmaceutica del Gruppo Johnson & Johnson). La piattaforma “adenovirus” è relativamente nuova perché esiste un vaccino già approvato realizzato con questa piattaforma, il vaccino contro Ebola, e c’è una storia di uso più lunga legata alla sperimentazione contro Sars/Mers e contro Ebola stessa».

Si può essere vaccinati più volte con vaccini anti-Covid diversi?
«Non sappiamo quanto dura l’immunità da vaccino, non sappiamo ad esempio se le persone vaccinate con un vaccino, dopo 6 mesi avranno perso le risposte immunitarie, anche se abbiamo motivo di pensare che questo non accadrà. Ma non ci si vaccinerà con vaccini anti-Covid diversi, sulla base di quello che sappiamo fino ad ora. I vaccini non miglioreranno con il tempo. Col tempo, invece, avremo maggior dati di efficacia dei vaccini di oggi, e dei nuovi vaccini che si affacceranno».

Chi ha sviluppato la malattia Covid-19 non sarà vaccinato?
«Ad oggi non sappiamo quanto duri la protezione del sistema immunitario dopo l’infezione da Sars-CoV-2, ed è probabile che non ci sia una risposta univoca, ma che vari da persona a persona. Ad oggi sappiamo che gli anticorpi protettivi diminuiscono in modo variabile nel giro di pochi mesi dall’aver contratto la malattia e che, in alcuni casi, non si sviluppano affatto. Di regola chi è stato infettato con sintomi non si riammala, anche se vi sono eccezioni ben documentate. Questa regola generale ha ovviamente il limite di un periodo di osservazione limitato. Non vi sono dati affidabili per quanto riguarda la resistenza dei soggetti asintomatici. In generale, siamo ragionevolmente sicuri che il vaccino dia una risposta immunitaria molto più valida dell’infezione naturale lieve. Basandoci sui dati della risposta immunitaria alla malattia, infatti, che non è uguale per tutti gli individui, la risposta in chi ha contratto il virus comunque resta molto più bassa rispetto a quella indotta con la vaccinazione».

Cosa pensa della proposta dell’obbligo vaccinale per tutti?
«La discussione sull’obbligo, adesso, è prematura, fuori luogo e controproducente, perché presuppone di avere dati di efficacia e di copertura molto solidi, di cui al momento non disponiamo. Avere i dati sull’efficacia significa essere sicuri che ci sia una protezione nei confronti dell’infezione. Ad oggi abbiamo dati di protezione a 2 mesi, ma per poter iniziare a ragionare in termini di obbligo vaccinale sarà necessario attendere i dati almeno a 6 mesi /un anno. È fondamentale pensare all’aspetto organizzativo della campagna di vaccinazione ma, allo stesso modo e con la stessa intensità, bisognerebbe pensare e programmare una grande campagna di informazione e formazione nazionale, che punti a sensibilizzare la popolazione e gli studenti sul tema generale dei vaccini».

Immunità di gregge o, meglio, immunità di comunità: quando la raggiungeremo?
«Esistono algoritmi che ci aiutano a stimare il livello accettabile di immunità di comunità. Nel caso dell’infezione da Sars-CoV-2 c’è un certo consenso sul fatto che, per un’immunità di comunità, è necessario che circa il 70% delle persone siano vaccinate o immuni. È una stima e andrà verificato sul campo quanto il vaccino protegge dall’infezione, quanto protegge contro la malattia e quanto contro la disseminazione (la diffusione del virus - n.d.r.). Semplificando, teniamo presente che Sars-CoV-2 è un virus che ha una capacità di trasmissione della malattia di circa 10 volte inferiore al virus del morbillo. Per il morbillo, l’immunità di comunità viene raggiunta con il 95% delle persone vaccinate. Quando nel 2016-2017 l’immunità di comunità in Italia era scesa all’85% - ed eravamo uno dei Paesi peggiori al mondo - abbiamo pagato con 7.000 casi di morbillo, circa il 25% ospedalizzati, e 8 morti. Scendendo del 10% sulla vaccinazione, abbiamo dunque avuto un’epidemia con 7.000 persone ammalate di morbillo. Questo dà un’idea di quanto sia importante la copertura vaccinale per l’immunità di comunità».

Cosa succede se ho avuto Covid-19, ho gli anticorpi e mi vaccino?
«Non ci sono dati da sperimentazione cliniche controllate. Tuttavia, si ritiene che non sia un problema se ci si vaccina e si hanno in circolo gli anticorpi sviluppati a seguito dell’infezione Covid-19. Anzi, vaccinarsi pur avendo gli anticorpi sarà come fare un richiamo, un po’ come accade per l’antitetanica. E non è necessario fare un dosaggio degli anticorpi. I dati ci dicono che i vaccini sviluppano una risposta immunitaria più forte di quanto avvenga contraendo naturalmente la malattia. Per questo è opportuno che anche chi si è già ammalato si sottoponga a vaccino, secondo i tempi che verranno indicati dalle autorità».

Le vaccinazioni sono ormai iniziate: possiamo fare a meno di mascherina e distanziamento?
«Per ora no perché, prima che ci sia una buona copertura vaccinale, serviranno molti mesi. Ricordiamo che l’efficacia di questo vaccino è stimata essere superiore al 90% e che quindi vi sono soggetti che non rispondono, come per tutti i vaccini. Ancora, non siamo certi di quanto duri l’immunità indotta da vaccino. Quindi, è fondamentale continuare a mantenere alta la guardia contro il virus con mascherina, distanziamento e igiene delle mani, fino a quando il virus sarà sotto controllo con una buona immunità “di comunità” o “di gregge”».

Quali sono gli effetti collaterali del vaccino?
«Per quanto riguarda gli effetti collaterali, gli studi di fase II e III del vaccino di Biontech/ Pfizer hanno identificato le reazioni avverse causate dalla somministrazione del vaccino, confrontandole con quella del placebo. I dati si riferiscono a pazienti tra 18 e 55 anni; dopo questa età, i sintomi osservati sono più lievi. Le reazioni più comuni osservate nei soggetti coinvolti sono dolore nel sito di iniezione, perlopiù lieve, febbre, mal di testa e dolori muscolari. Questi dati sono stati confermati in oltre un milione di soggetti vaccinati in Gran Bretagna e in oltre due milioni di soggetti vaccinati negli Stati Uniti. In casi molto rari (21 casi ad oggi negli Usa con oltre 1,8 milioni di dosi somministrate) si è osservata una seria risposta allergica, controllata con farmaci all’interno della struttura dove avveniva la somministrazione».

Si può essere infettati dal vaccino?
«Non è possibile prendere il Covid-19 dai vaccini anti Covid-19. Si tratta infatti di vaccini inattivati, non di vaccini a germi vivi. È importante riconoscere che farsi vaccinare per Covid-19 non è solo una questione di resistere alla infezione acuta Covid-19. Si tratta di prevenire la diffusione del virus ad altri e di prevenire l’infezione che può portare a complicanze ed effetti negativi a lungo termine sulla salute».

I vaccini possono aumentare o sviluppare tumori?
«No, non esiste alcuna relazione tra i vaccini contro Covid-19 e tumori. I vaccini non sviluppano malattie tumorali. Anzi, ricordiamo che usiamo due vaccini che ci proteggono contro cancro: il vaccino contro il virus dell’Epatite B, che è uno dei motivi per cui il cancro del fegato è diminuito e sta diminuendo nel nostro Paese, e il vaccino contro il papillomavirus, una malattia che causa la morte di 200mila donne all’anno, 1.000 nel nostro Paese. Il vaccino di Biontech deriva dalla ricerca sul cancro, è un regalo della ricerca sul cancro».

Il vaccino mRna può compromettere o mutare il Dna delle cellule di chi si vaccina?
«No, questo era un argomento dei “No-Vax” quando è stato introdotto il vaccino contro il vaiolo. Il vaccino anti Covid-19 non causa mutazioni genetiche, anzi è la nostra salvaguardia contro le mutazioni genetiche del virus. Infatti, non c’è nessun rischio che il Dna di chi si vaccina subisca delle alterazioni a causa dell’iniezione di un vaccino a mRna, ovvero una molecola di Rna messaggero avvolta in un guscio di lipidi. Quest’ultimo si limita ad insegnare alle cellule come produrre la molecola Spike, bersaglio del vaccino, senza intaccare il nucleo (dove si trova il Dna). Inoltre, dopo aver compiuto la sua missione “didattica”, la molecola di Rna viene distrutta».

Quali sono i rischi di reazione allergica con il vaccino anti Covid-19?
«Le persone con allergie respiratorie (rinite, congiuntivite, asma), allergie a alimenti, allergie a farmaci ecc. possono essere vaccinate. Verranno eventualmente tenute sotto controllo medico dopo la vaccinazione. In casi molto rari, come detto in precedenza, si è osservata una seria risposta allergica, controllata con i farmaci all’interno della struttura dove avveniva la somministrazione. Si è ipotizzato che si tratti di una reazione allergica a Peg, contenuto nei due vaccini a mRna (Moderna e Biontech/Pfizer), ma la cosa è oggetto di discussione scientifica. Le persone con allergia a polietilenglicole (Peg, eccipiente di farmaci) o macrogol o polisorbati non devono ricevere i vaccini a mRna».

Cosa ha provocato la reazione allergica al vaccino in Gran Bretagna e negli Stati Uniti?
«Sebbene manchino evidenze certe, si ipotizza che la sostanza responsabile delle rarissime reazioni allergiche gravi riscontrate nelle persone vaccinate in Gran Bretagna e negli Usa sia uno dei grassi - il Peg - usati per realizzare il guscio di lipidi con cui viene veicolato l’mRna all’interno della cellula, che contiene le informazioni necessarie per assemblare la proteina Spike».

La variante inglese può vanificare il vaccino? In cosa consiste la mutazione?
«Sars-CoV-2 è relativamente stabile ma diffondendosi è soggetto a mutazioni e a generare varianti genetiche. Una mutazione alla posizione 614 della proteina Spike era comparsa nell’inverno scorso e si era diffusa sul pianeta essendo più infettiva pur senza dare malattia più grave. La variante detta “inglese” ha una mutazione alla posizione 501 di Spike oltre a 17 altre mutazioni e si trasmette più facilmente. Una variante “sudafricana” ha una mutazione alla stessa posizione 501 oltre altre due in spike. Si ritiene che queste mutazioni non sfuggano alla risposta immunitaria attivata dai vaccini. Tuttavia sono un monito a fare presto. Il virus più corre e più muta: fermiamolo con il vaccino e con i nostri comportamenti corretti».

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