Un medico, un’infermiera e un paziente
I loro ricordi in questo anno di Covid - Video

Dall’ospedale Papa Giovanni XXIII il direttore del Dipartimento di Emergenza urgenza e Area critica Luca Lorini, da Seriate Milena Mauri, responsabile dell’Area programmazione e controllo. Un paziente racconta la sua storia e la sua degenza all’Humanitas Gavazzeni.

Un medico, un’infermiera e un paziente. Tre ospedali e una Bergamo unita contro il Covid. Un anno dopo i ricordi e le aspettative di tre figure simbolo della lotta al coronavirus. Per non dimenticare, tre testimonianze che permettono di non cancellare dalla memoria quanto è capitato a Bergamo.

IL MEDICO
Il suono incessante dei caschi di ossigeno che riempiva i corridoi dell’ospedale Papa Giovanni nel momento più critico della scorsa primavera, quando erano ricoverati oltre 100 pazienti in terapia intensiva. Luca Lorini, direttore del Dipartimento di Anestesia e Rianimazione, non ha dubbi: è questo il rumore che ancora martella in testa nel ripensare a quei momenti. Nelle sue parole tutta la razionalità di colui che ha dovuto governare una situazione unica e straordinariamente critica. Non c’era spazio per la paura, per il dolore, bisognava agire per salvare vite umane, una corsa frenetica contro il tempo senza risparmiarsi mai. Oggi la situazione è tutt’altro che risolta, le rianimazioni si stanno riempiendo di nuovo anche se con i vaccini c’è un arma in più, non bisogna abbassare la guardia «non ci si può permettere di fare gli stupidi ora quando si è in vista del traguardo».

L’INFERMIERA
La vita di Milena Mauri, responsabile dell’Area programmazione e controllo dell’azienda sanitaria Asst Bergamo Est, è cambiata il 23 febbraio
. Richiamata al lavoro con suo marito, entrambi dipendenti all’ospedale Bolognini, ha lasciato i suoi figli ai nonni e da quel momento non li ha più rivisti per due mesi, fino a Pasqua. Un po’ per paura di contagiarli un po’ perché l’ospedale è diventato giocoforza la sua casa. «Quello che è stato difficile rielaborare - ricorda ripercorrendo le giornate senza fine in cui ordinava presidi sanitari, ossigeno e riorganizzava i turni dei colleghi in ospedale - è stato vedere i colleghi che fino al giorno prima lavoravano al tuo fianco ammalarsi e poi non vederli più, senza neanche poterli salutare».

«L’emergenza - dice nel video con le immagini di Yuri Colleoni - non è ancora finita: ognuno ora deve continuare a fare la sua parte. Ai miei figli dico che in questa situazione abbiamo imparato tutti a capire quali sono le cose veramente importanti: noi, la nostra famiglia, i nostri affetti, la salute di tutti».

IL MALATO: 128 GIORNI IN OSPEDALE
La storia di Ismaele Grigolo è molto significativa
. «Non mi dimenticherò mai il Covid, segna troppo» dice il 70enne bergamasco, ricoverato il 23 marzo 2020 in Humanitas Gavazzeni a Bergamo per ben 128 giorni: «Ho maturato la paura un po’ alla volta, dovevo aspettare, dovevo capire. Dovevo superare quel momento, dovevo farcela - racconta -. In quel lungo tempo in ospedale hai tanti pensieri e mentre sei ricoverato pensi alla casa e alla famiglia. Pensi alle cure e tante sono le difficoltà: le ho superate perchè dovevo farmi forza, dovevo essere coraggioso».

«Ricordo i medici e gli infermieri, i miei angeli - continua Ismaele -. Mi mancavano moglie e figli ma soprattutto i nipotini. Avevo le foto dei bambini in fondo al letto, le guardavo sempre e non pensavo più a tutto il resto. In quei giorni pensavo solo a sopravvivere».

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