«Reduci» del Covid, in aumento ansia e panico
«Come i soldati durante la guerra»

Il convegno degli psichiatri: ansia e panico diffusi tra pazienti, familiari e operatori sanitari. Emi Bondi: «Come i soldati durante la guerra».

Il suono incessante delle sirene a scandire l’allarme, giorno e notte. I bollettini dei contagi trasmessi h24. E il pericolo di inciampare su un nemico che non ha né forma né colore. La pandemia ha generato uno tsunami di disturbi psichiatrici: è successo con la Sars e con la Mers, per restare agli Anni 2000, e succede anche adesso nel bel mezzo dell’epidemia da Covid-19. Gli esperti stimano che il 42% degli italiani rischi di ammalarsi di «ansia post-traumatica», che il 30% dei contagiati presenti già i primi sintomi di disturbi da stress post traumatico, e che il 24% degli operatori sanitari al lavoro durante il picco dell’epidemia stia facendo i conti con il sovraccarico emotivo di quei mesi. Sono dati preliminari, visto che – dicono gli psichiatri – il disturbo post traumatico vero e proprio si definisce solo se i sintomi persistono dopo sei mesi dal trauma stesso: ansia, tensione, depressione, disturbi del sonno, disturbi cognitivi, umore altalenante e continui flash back.

Ma, seppur precoci, i dati delineano un quadro molto chiaro: oltre ad alzare il livello di guardia sull’infezione da coronavirus, c’è da potenziare anche i servizi di salute mentale. Se n’è parlato ieri, durante il Congresso nazionale di Psichiatria di Bormio organizzato da Emi Bondi, direttore del dipartimento di Salute mentale dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo e da Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Psichiatria del Fatebenefratelli Sacco di Milano. «Il disturbo da stress post traumatico ha origini lontane: se ne parlava già in riferimento ai soldati, affetti da ansia e depressione anche a guerra terminata – spiega Emi Bondi –. È un’autentica malattia, con cui adesso ci troviamo nuovamente a dover fare i conti. Dietro a questi sintomi c’è un complesso insieme di fattori: c’è il timore di morire, la paura del dolore, la preoccupazione di essere stigmatizzato in quanto potenziale untore, l’impotenza nei confronti di un nemico che non si vede né si sa come combattere e, infine, c’è anche la paura della fame: la paura di soffrire per le conseguenze economiche della pandemia».

«I disturbi di ansia e panico sono destinati ad aumentare: è una delle difficili conseguenze che ci lascerà questo periodo di emergenza a livello psichiatrico – le fa eco Claudio Mencacci –. Aumentano del 30% i casi di ansia, disturbi del sonno e depressione, anche in forme gravi. E il 42% degli italiani sarebbe a rischio di ammalarsi di ansia post-traumatica per i lutti, le perdite, il danno economico e l’incertezza per il futuro. Un’emergenza non solo italiana, ma mondiale, e i primi segnali stanno già investendo la rete di assistenza, come ha ricordato in questi giorni anche l’Organizzazione mondiale della sanità» . A correre maggiormente il rischio di essere colpiti da disturbo post traumatico dovuto all’epidemia in corso ci sono in primis le persone contagiate e guarite, ma anche i familiari di chi si è ammalato o ha perso la vita, e gli operatori sanitari. «L’elaborazione del lutto nel periodo clou è stata particolarmente complicata – spiega Emi Bondi – perché è mancata quella ritualità tipica di questa fase: non è stato possibile stare vicino ai familiari negli ultimi istanti della loro vita, non si poteva partecipare ai funerali.

E molte persone ora rivivono l’angoscia di quei drammi: c’è chi ancora quando suona il telefono prova una sensazione di terrore, ricordando la paura di essere chiamati dall’ospedale per ricevere la notizia più temuta». A difendere i cittadini dal disturbo post traumatico ci sono però una serie di fattori protettivi che gli esperti inglobano nel concetto di resilienza: è maggiormente resiliente chi ha stabilità affettiva, chi ha sostegno familiare, chi ha una forte fede, chi non ha difficoltà economiche, chi ha un maggior grado di istruzione e capacità critica. Dal convegno di Bormio, a cui hanno partecipato in modalità ibrida (in presenza e in videocollegamento) psichiatri da tutta Italia, è emerso un chiaro appello a un approccio multidisciplinare nello studiare le conseguenze dell’epidemia sulla popolazione e a un potenziamento dei servizi di salute mentale rivolti alla comunità

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