Cronaca / Bergamo Città
Sabato 02 Gennaio 2021
Nusiner: «Più partecipazione per recuperare l’originalità dei segni»
Consapevolezza, consapevolezza dei Sacramenti. Paolo Nusiner, Direttore generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ripete spesso questo concetto che nasce dalla necessità di colmare insufficienze concettuali e di progetto di vita.
Perché?
«Perché siamo dentro un vero e proprio cambiamento d’epoca. È mutata la società e molte persone vivono come se Dio non esistesse. Pure la Chiesa è cambiata, almeno dagli anni ’60. In Italia la società s’è evoluta, anzi involuta, verso una minore pratica della vita cristiana. Questi arretramenti incidono anche sulla minore consapevolezza dei Sacramenti».
Qualche esempio.
«Parto dal Battesimo. Ovvio che lo chiedano i genitori ed è giusto che papà e mamma s’impegnino nell’educare i figli alla pratica cristiana. Però mi domando: quanti sono i genitori che, nel tempo, si prendono cura di questo impegno? Fin dove arriva la loro consapevolezza? Non vedo uno sforzo adeguato, anche se per contro c’è un fenomeno inverso, controcorrente: adulti non battezzati, che chiedono i Sacramenti della Iniziazione Cristiana, ossia Battesimo, Confermazione ed Eucaristia. Un segnale di partecipazione interessante».
La Confessione è più complicata.
«Qui entriamo nel vissuto insondabile dei singoli. Ci sono tanti aspetti da considerare , comunque temo che la Confessione sia una prassi che, fra i credenti, non vada per la maggiore. L’introspezione, il guardarsi dentro, farsi domande sul proprio comportamento per poi esternarle al sacerdote, ossia all’intermediario con il Divino, è molto difficile. Il rendere partecipe il prete della propria condotta morale deve superare confini che hanno bisogno di una laboriosa manutenzione religiosa e psicologica».
Eppure l’Eucaristia sembra vivere una stagione di consenso.
«È vero e resta uno dei Sacramenti più praticati. Lo si è osservato molto bene in questi mesi con la richiesta di riapertura delle chiese per la Messa»
Il matrimonio è un terreno scivoloso.
«Non c’è dubbio, purtroppo. C’è un nesso fra Battesimo e matrimonio che chiama in causa la responsabilità: marito e moglie assumono un impegno reciproco vincolante per la vita futura nel segno della testimonianza. La questione che si pone è: in che misura sono disposti a mantenere la parola data? I tribunali ecclesiastici documentano che le motivazioni prevalenti dell’annullamento del matrimonio derivano appunto da un’insufficiente coscienza degli impegni assunti col Sacramento. Tutto ciò è drammatico e ci riporta al punto di partenza. Aggiungo che anche il morire sta perdendo la coralità familiare, ancor prima del Covid. Si muore sempre più spesso non fra le pareti domestiche ma in ospedale, sempre più distanziati dai propri cari: anche questa dismissione affettiva aggiunge un’ulteriore riflessione al divenire della vita».
La crisi della pratica sacramentale è una crisi di fede?
«Non saprei rispondere, e ogni caso fa storia a sé. Cito, a proposito, Papa Francesco che ho ascoltato nei giorni scorsi in Vaticano quando ha fatto gli auguri alla Curia romana. Il Santo Padre ha detto che quel che abbiamo vissuto nel flagello di questo periodo è stato un banco di prova non indifferente e nello stesso tempo una grande occasione per convertirci e per recuperare autenticità. Ecco il tema vero: recuperare autenticità. Il Pontefice aggiungeva che sotto ogni crisi c’è sempre una giusta esigenza di aggiornamento e che anche la Chiesa deve smettere di guardare alle proprie riforme interne come al rattoppo di un vestito vecchio. Le cose nuove sono i vari aspetti che via via comprendiamo e noi oggi siamo proprio dentro questa transizione. I Sacramenti non sono in discussione, e ci mancherebbe, ma bisogna cercare di capire anche le cose nuove ed è quindi opportuno procedere sulla strada del cambiamento».
Continuità nella discontinuità?
«Sì, nel senso che il recupero dell’autenticità dei Sacramenti richiede la partecipazione della comunità ecclesiale. La fatica è proprio questa, perché la società individualista, secolarizzata e “liquida” va da tutt’altra parte».
Lei cosa propone?
«Il vero problema è posto dall’idea di uomo che ci viene proposta oggi e quindi mi permetto un suggerimento: ripensare le forme di catechismo, che non può più essere vissuto come “dottrina”, come ci dicevano da ragazzi. Giovani e adulti vanno coinvolti con l’esperienza e la testimonianza. Gli adulti che si sono avvicinati al Battesimo ci sono arrivati attraverso il vissuto della comunità. Quante persone soccorse dalla Caritas riconoscono nel proprio dramma l’incontro fra la capacità di ascolto e l’urgenza della sopravvivenza. Mi riaggancio a Papa Francesco quando alla Curia romana ha detto: “Quante volte anche le nostre analisi ecclesiali sembrano racconti senza speranza: una lettura della realtà senza speranza non si può chiamare realistica. La speranza dà alle nostre analisi ciò che tante volte i nostri sguardi miopi sono incapaci di percepire”. In conclusione: i segnali di speranza ci sono e li vediamo tutti i giorni, tuttavia dobbiamo tornare a prenderci cura dell’uomo nella sua essenza. Una speranza da declinare nei tempi nuovi».
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