«Noi, studentesse nella Cina del virus
Viviamo chiuse all’interno del campus»

Sara Zucchi e Martina Milesi, dell’Università di Bergamo, sono a Nanchino
«Chi entra ed esce è sottoposto al controllo della temperatura. Fuori poca gente e negozi chiusi».

L’epidemia corre, cresce il numero delle vittime in Cina e, per precauzione, hanno deciso di isolarsi nel campus universitario in cui vivono da sei mesi. Quasi in un bunker, magari una sortita veloce in città solo per fare la spesa e tornare al sicuro. Perché all’esterno del campus c’è una città fantasma. Sara Zucchi e Martina Milesi sono due studentesse bergamasche che frequentano la cittadella universitaria di Nanchino, est della Cina, nella provincia di Jangsu. Il focolaio del coronavirus che sta mietendo vittime nel Paese si è sviluppato a Wuhan, città nella provincia dello Hubei che dista 500 chilometri. A Nanchino si sono registrate già 7 vittime del contagio e molti spazi e servizi pubblici sono chiusi.

«Non vediamo l’ora di tornare a casa, manca solo una settimana – raccontano le due studentesse, che frequentano il secondo anno del corso di Laurea magistrale in Lingue per la comunicazione e cooperazione internazionale dell’università di Bergamo -. Fino a pochi giorni fa abbiamo vissuto un’esperienza bellissima, ora però è giusto e opportuno andar via. Non usciamo dal campus per nostra scelta e chi entra è sottoposto a rigidi controlli sull’identità e sulla temperatura corporea. In realtà sappiamo poco di cosa stia accadendo all’esterno. Siamo in contatto costante con le nostre famiglie via WhatsApp, anche per tranquillizzarle».

Martina, 23 anni, è di San Giovanni Bianco e studia a Bergamo; Sara, 23 anni , è originaria di Mandello (Lecco). Due studentesse che hanno rinsaldato l’amicizia sui banchi dell’università in Città Alta, per poi immergersi nell’esperienza cinese.

«Mia mamma è casalinga e papà elettricista – racconta Martina Milesi -. Ogni giorno sono in contatto con loro e le mie due sorelle. Inevitabile ci sia apprensione, anche se la mia famiglia mi sprona a non esagerare con l’allarmismo. Le poche volte in cui usciamo dal campus usiamo le mascherine. Il contesto è spettrale, inutile negarlo. Poca gente in giro e tanti negozi chiusi. Al ritorno bisogna sottoporsi a una procedura complessa: verifica dell’identità e misurazione della temperatura corporea. Se hai sintomi influenzali, non ti fanno entrare e ti portano in ospedale per accertamenti. Per evitare problemi di qualsiasi natura preferiamo restare nel campus».

Alcuni studenti faranno ritorno in Italia nelle prossime ore, Martina e Sara dovranno attendere invece lunedì, insieme ad altri due corsisti. «Il percorso dal campus fino all’aeroporto non mi rende tranquilla – ammette Martina -. Solo una volta salita sull’aereo per Milano Linate potrò dire di aver superato dubbi e timori. Il volo farà scalo a Francoforte. Arrivare prima a Milano e poi a San Giovanni Bianco per riabbracciare i miei cari dopo questi ultimi giorni di paura sarà una sensazione unica, diversa. Non avrei mai immaginato di vivere una simile esperienza».

Sara Zucchi, amica di Martina, condivide le preoccupazioni per il tragitto fino all’aeroporto: «Mi spaventa quel percorso, ma bisogna tornare e non possiamo farne a meno. Il mio volo atterrerà a Milano Malpensa e non ci sarà rientro a casa più dolce». Il papà meccanico e la mamma casalinga la aspettano impazienti. «Abbiamo evitato di uscire ultimamente - aggiunge -, non è il caso di rischiare. Circolano anche alcune informazioni sui mezzi pubblici utilizzati da chi ha contratto il virus, per incentivare chi ha usato quei mezzi a sottoporsi a controlli. Il Capodanno cinese non si festeggia e Nanchino è ormai una città deserta. Quando siamo partiti da Bergamo ad agosto eravamo entusiaste e, in effetti, per una decina di noi studenti è stata un’esperienza magnifica, che ci ha arricchito. Peccato sia finita così, perché ci siamo trovati bene. Ma l’università di Bergamo è la nostra casa».

© RIPRODUZIONE RISERVATA