Cronaca / Bergamo Città
Lunedì 16 Novembre 2015
Michele si racconta dopo 5 interventi
«Ora sono più forte. E farò l’ortopedico»
«Quando mi sono svegliato dal coma, ho aperto gli occhi e ho visto, accanto al letto, mio papà Sergio. “Adesso gliene combino una io”, ho pensato. Così gli ho sussurrato: “Ma tu chi saresti?...”. Incredibile la sua faccia: è sbiancato. Poi, quando si è accorto che scherzavo perché ho esclamato “Viva la vita”, mi avrebbe voluto picchiare: ma ero già così malmesso...».
Felpa con la scritta «California» e un sorriso che parte dagli occhi: a vederlo così, raggiante, non si penserebbe mai che questo sedicenne di Bergamo ha rischiato di non regalare mai più la sua allegria a genitori e amici.
Lui è Michele Clarizia, lo sciatore che, il 4 febbraio scorso, mentre si allenava sulla pista di Santa Caterina Valfurva in vista di una gara, si era schiantato contro una motoslitta che stava incredibilmente risalendo proprio al centro della pista. Finì in coma per un mese e seguirono cinque importanti interventi chirurgici, di cui uno alla testa. Ma lui, Michele, non ha mai perso né la speranza né l’entusiasmo di vivere e le sue 22 cicatrici sembrano averlo reso più forte. «Certo che sapevo che ce l’avrei fatta», spiega, mentre mostra le cicatrici sulla gamba sinistra. Il suo calvario ospedaliero si è concluso da poco, anche se dovrà sottoporsi ad altri interventi. Ma il peggio è ormai passato.
Al suo fianco ci sono due pilastri: mamma Sofia, insegnante al Caniana, e papà Sergio, pediatra a Lovere. Proprio il padre racconta i drammatici momenti dopo l’incidente: «Ho ricevuto la chiamata del suo allenatore Battista Tomasoni. Inizialmente mi aveva solo detto che Michele si era rotto una gamba. “Però vieni subito”, mi aveva ripetuto: una frase che non mi aveva per nulla convinto, anche perché sono un medico». Tra l’altro, giusto un mese prima Michele era già caduto a Livigno, picchiando la testa e perdendo conoscenza: un segno del destino, forse. Tanto che voleva appendere gli sci al chiodo: ma alla successiva gara era arrivato terzo e l’entusiasmo aveva avuto la meglio. Così ha continuato a sciare. Fino a quel drammatico 4 febbraio.
«Mentre con mia moglie raggiungevo Sondalo, ho contattato i colleghi per sapere in effetti come stesse Michele. E man mano che ci avvicinavamo all’ospedale, la situazione appariva sempre più grave: ci hanno detto che era in coma e intubato. Sono riuscito a contattare il primario della Rianimazione di Sondalo, il dottor Beretta: “Stai tranquillo, è grave, ma stiamo cercando di salvargli la gamba”. Lascio immaginare il nostro stato d’animo».
Quando i coniugi Clarizia arrivano in ospedale, a Michele sono stati diagnosticati anche un grave trauma cranico, con un’importante lacerazione al cervello. «L’emorragia si sarebbe potuta estendere, oppure stabilizzarsi, com’è avvenuto – spiega papà Sergio –. È uscito dalla sala operatoria alle dieci di sera, dopo un primo intervento a femore e tibia e al cranio. Era attaccato a una macchina e l’abbiamo visto di sfuggita». Il giorno dopo l’incidente la situazione è abbastanza stabile, benché gravissima: Michele ha fratture scomposte a una gamba, una doppia frattura al femore, la frattura di entrambe le braccia e dell’osso frontale (e per fortuna il casco si è rotto, altrimenti le conseguenze sarebbero state peggiori).Il padre decide di contattare il professor Nino Stocchetti, primario della Neurorianimazione del Policlinico di Milano e autore delle linee guida sul trauma cranico internazionale. «Gli ho detto – ricorda –: “Professore, venga per favore a vedere mio figlio: non posso star qui ad aspettare con le mani in mano che passi il tempo”. E il 6 febbraio, sedicesimo compleanno di Michele, il dottor Stocchetti ci ha fatto il regalo migliore che potessimo ricevere: ha tolto la sedazione e ci ha detto: “Faccio una scommessa con voi e so che la vincerò al 99,9%: di testa Michele tornerà quello di prima, anche se ci vorrà per recuperare”. È stato un professionista di straordinaria umanità e competenza».
Cinque giorni dopo l’incidente, Michele viene trasferito alla Terapia intensiva della Neurochirurgia del Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dove viene affidato alle amorevoli cure del dottor Francesco Ferri e del direttore dell’Anestesia, dottor Luca Lorini. Il 9 febbraio il dottor Rizzi e il professor Castelli lo operano alle braccia per stabilizzare le fratture. «Nel contempo c’era anche il problema della perdita di liquor dal cervello, con aria all’interno della scatola cranica – spiega ancora il papà –: una situazione molto rischiosa. Per questo il 2 marzo arriva l’intervento in craniotomia: Michele viene operato dal dottor Danesi. E il martedì successivo, un mese dopo l’intervento, viene svegliato dal coma. Ed è qui che ci stupisce dicendo: “Viva la vita”».
L’odissea riabilitativa è però tutt’altro che finita: il 10 marzo Michele viene operato alla tibia, con l’applicazione di un fissatore esterno che il sedicenne tiene per sei mesi. Il 19 marzo viene trasferito alla Casa degli Angeli, in cura dal dottor Guido Molinero, dove inizia la riabilitazione, che prosegue fino al 1° maggio. Da quel giorno la riabilitazione continua in day hospital fino a metà settembre. «Alla Casa degli angeli era inizialmente demoralizzato, poi è diventato la mascotte di tutti: con la sua positività contagiava tutti gli altri degenti», sottolinea mamma Sofia. Grazie all’impegno dei suoi docenti del Sant’Alessandro non perde l’anno scolastico. Nel frattempo gli fanno visita in ospedale i calciatori atalantini Denis e Cigarini, ma anche il Bocia (Michele è un atalantino sfegatato, nonostante il papà napoletano) e la sciatrice Michela Moioli. E gli scrive anche Alberto Tomba. A tutti Michele dice di stare bene.
«Per non perdere mai la speranza penso sempre a chi sta peggio di me», confida ora, che cammina senza aiuti da qualche settimana. E tutta questa trafila non gli ha fatto odiare l’ambiente ospedaliero, anzi: «Forse da grande non farò lo sciatore – confida, mostrando tutta la sua simpatia –: vorrei piuttosto fare l’ortopedico. Tanto ormai so già praticamente tutto».
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