Cronaca / Bergamo Città
Domenica 21 Luglio 2019
«Mandar giù un boccone, una tortura»
In un libro i dolori e l’uscita dal tunnel
La storia di Anna Chiara Merisio e la sua battaglia contro l’anoressia: scesa fino a 48 chili, la giovane è riuscita ad accettarsi e ad amare la propria vita.
Come in un giro sfrenato sulle montagne russe, nella vita capita di salire e scendere a perdifiato senza poter scegliere la traiettoria. Capita di ferirsi e di dover lottare per guarire, come è stato per Anna Chiara Merisio di Bergamo, che alla fine, però, ha fatto suo il verso 5 del Salmo 126: «Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia». Dopo un periodo molto difficile, in cui ha dovuto combattere con un grave disturbo alimentare, è riuscita a rimettere insieme i pezzi, e il suo sorriso ha il sapore della rinascita.
Ha scelto con coraggio di mettersi in gioco e di scrivere la sua storia in un libro «Toglietemi il disturbo» («Lyasis edizioni») e di impegnarsi per aiutare altre persone: «Ho scritto per salvare me stessa, ma anche per aiutare altri che stanno soffrendo come è capitato a me. Spero di dar loro una mano a trovare una nuova prospettiva sulla vita, mi auguro che leggendo trovino assonanze e risposte».
Anna Chiara ha incominciato a scrivere mentre seguiva le terapie contro il suo disturbo alimentare al Centro specializzato della Casa di cura Palazzolo di Bergamo. «In quel periodo tenevo un diario e scrivevo molti post di Facebook: quelle riflessioni mi aiutavano a mantenere il filo di quello che mi accadeva e del percorso di cura. Poi ho pensato di raccogliere quei pensieri, che in famiglia chiamavamo per scherzo lo Zibaldone dei poveri. Ho risistemato il materiale dandogli una nuova struttura. Ho costruito un dialogo immaginario con una psicologa e ho diviso le mie pagine per temi. Nel testo ci sono anche numerosi brani di classici e autori che mi sono molto cari come Socrate, Orazio e Virgilio, perché la letteratura per me è stata sempre una terapia, lo studio mi ha sorretto, è stato uno dei miei pilastri insieme all’aiuto dei miei familiari e dei terapisti». Scrivere ha aiutato Anna Chiara a proiettare luce sul suo percorso e a esprimerlo con maggiore chiarezza, usando toni di volta in volta diversi, dalla delicatezza dei sussurri all’energia scomposta delle urla: non ha voluto cambiare e purificare le parole che le sgorgavano dal cuore durante la malattia, perché chi legge possa davvero entrare nel suo mondo e magari rispecchiarsi in esso.
Se deve ritornare oggi al momento in cui tutto è incominciato, Anna Chiara fatica a trovare un solo fattore scatenante: «Ho subito uno shock a causa della malattia di una persona cara, e poi è capitato che un ragazzo mi dicesse che avevo le gambe grosse. Così ho incominciato a guardare il mio corpo in modo diverso, e sono precipitata in un periodo oscuro, in cui mi sembrava di aver perso la mia strada e me stessa». Anna Chiara aveva progettato un viaggio in Africa per un periodo di missione, si era preparata con serietà e ha deciso di partire comunque: «È stato un intermezzo molto felice, mi ha fatto bene conoscere una realtà diversa, in un ambiente dove basta pochissimo per vivere, ma quando sono tornata a casa sono crollata. L’anno dopo avrei voluto ripartire per la Bolivia ma ho dovuto rinunciare. È stata una delle esperienze belle che la malattia mi ha impedito di fare».
Ci è voluto tempo, però, prima che Anna Chiara si rendesse davvero conto di essere malata e prima che i suoi genitori se ne accorgessero. «L’anoressia è un tabù, non se ne può parlare, io stessa facevo finta che andasse tutto bene e mascherando i sintomi. Non digiunavo ma ingerivo sempre meno cibo. Alla fine è stato mio fratello, che ha dieci anni più di me, ad accompagnarmi per la prima volta dal medico di base e a spingermi ad affrontare la situazione. Sul foglio in cui richiedeva esami più approfonditi ha scritto “sospetta anoressia” ed è stato un colpo terribile, perché anche di fronte all’evidenza non volevo ammettere che stesse accadendo proprio a me».
Anna Chiara si è rivolta al Centro della Casa di cura Palazzolo: «Sono arrivata a pesare 48 chili. Al Centro ho ottenuto una diagnosi completa, poi ho avviato i primi percorsi e le terapie. Fortunatamente non sono mai stata ricoverata, mi sottoponevo alle sedute e poi ritornavo a casa. Sono riuscita a non dimagrire di più, anche se è stato difficilissimo. Ho dovuto lottare contro me stessa e contro quella ostinata malattia. Sapevo che altrimenti avrei messo a rischio la mia vita e avrei dovuto intraprendere un percorso molto più duro». Ci è voluto un anno e mezzo di cura prima che Anna Chiara riuscisse a riemergere dalla malattia, perché all’inizio non voleva collaborare, pur riconoscendo di stare male: «Non volevo curarmi, sentivo strane voci interiori che mi spingevano altrove. Mandare giù un po’ più di pane era una tortura. Bastava un chilo in più e facevo come i gamberi, tornavo indietro, volevo di nuovo dimagrire».
Anna Chiara ha potuto contare sull’aiuto dei suoi amici e del suo fidanzato: «Sono stati loro a darmi la spinta giusta, insieme con il desiderio di terminare l’università e laurearmi in Lettere classiche. Nei primi mesi del 2015 è scattato qualcosa in me, pian piano mi sono liberata dei miei problemi, che non riguardavano soltanto il mio corpo e qualche chilo in più o in meno, c’era qualcosa di molto più profondo da risolvere». Alla fine delle terapie Anna Chiara ha dovuto imparare a reggersi sulle proprie gambe: «Quando mi sono ritrovata da sola, al termine delle terapie, ho dovuto prendere le misure e cominciare a cercare un nuovo equilibrio senza l’appoggio del centro. All’inizio mi sembrava che il mio corpo fosse impazzito, dopo l’anoressia ho rischiato la bulimia. Ci è voluto molto tempo per tornare alla normalità. Ho continuato a vedere uno psicologo, ma più che una vera e propria terapia ora c’è un dialogo tra noi che mi permette di continuare il processo di conoscenza e di scoperta che ho avviato. È stata una continua sfida con me stessa, ho scoperto aspetti che altrimenti sarebbero rimasti in ombra».
Dopo questa avventura, Anna Chiara ha trovato in sé nuovo coraggio e tenacia, proprio ciò che le occorreva per dare slancio al suo futuro: «Non posso dire che si guarisca del tutto – chiarisce –, ogni tanto vado ancora in crisi, il mio rapporto con il corpo non è mai perfetto, resta sempre un aspetto conflittuale. E poi a volte mi capita di essere tormentata da pensieri ricorrenti, non necessariamente legati al cibo. Il processo di guarigione è molto lungo. Non rinnego nulla, adesso non mi vergogno a parlare apertamente di ciò che è accaduto. Strada facendo ho scoperto in me una grande forza, perciò non vivrò mai l’anoressia come una vergogna o una macchia nel mio passato, non dirò che preferirei non averla dovuta superare. Ho trovato in ciò che è accaduto molti lati positivi. Meglio vedere sempre il bicchiere mezzo pieno».
Anna Chiara ha scoperto come incanalare in modo positivo le sue energie: «Sono cocciuta, lo sono stata in modo straordinario nel farmi del male, ma sono riuscita poi a volgere la situazione in positivo, a essere intraprendente e a fare sacrifici per recuperare. Ho sempre concentrato tutta la mia attenzione in ambito scolastico, a scuola davo il massimo, i miei addirittura mi dicevano che studiavo troppo». Questo l’ha portata a essere particolarmente severa, per ottenere sempre il massimo dei voti. La malattia, però, l’ha aiutata a essere più indulgente, prima di tutto con se stessa, a sviluppare meglio la capacità di mettersi nei panni degli altri, a far crescere le sue capacità di empatia e di comprensione: «Ho capito che accettare qualche risultato meno brillante non è così terribile, e che essere troppo esigenti con se stessi può innescare al contrario dinamiche negative».
«La vita è come un’eco – scrive James Joyce –: se non ti piace quello che ti rimanda, devi cambiare il messaggio che invii»: come i personaggi di «Gente di Dublino» Anna Chiara si sentiva in una condizione di «paralisi interiore». «Mi sembrava di restare al porto a veder partire le navi senza poter mai salire. A un certo punto mi sono chiesta se valeva la pena di vivere così, perdendo tutta la bellezza della vita». Nel frattempo, però è riuscita comunque a laurearsi in Lettere antiche e ora sta seguendo i corsi della laurea magistrale in Filologia moderna, con l’intento di specializzarsi nel settore editoriale: «Mi piace l’idea di insegnare, ma anche di lavorare in una casa editrice. Ho ricominciato a seguire i miei interessi e i miei sogni: mi piacerebbe un giorno aprire un centro per aiutare altre ragazze con disturbi alimentari e aiutarle con laboratori di scrittura creativa, conciliare i miei studi con le mie esperienze».
Nel frattempo, grazie al libro, si sta già impegnando a portare la sua testimonianza nelle librerie e nelle scuole. «Sto lavorando a un progetto di prevenzione e l’anno prossimo lo porterò nelle classi del collegio Sant’Alessandro, che è stata anche la mia scuola e con cui ho un grosso debito di gratitudine. Vorrei che si parlasse di più dei disturbi alimentari, ci sono ancora troppi pregiudizi, la gente tende a giudicare chi ne è affetto in modo superficiale. Chi soffre di anoressia spesso si ritrova un’etichetta addosso: è una malattia e può capitare a chiunque. Non sono andata a cercare gruppi di anoressiche sui social, nemmeno nei momenti più bui. Mi ha aiutato scrivere i miei pensieri su Facebook e seguire esempi positivi di persone che si impegnano in attività di sensibilizzazione sui disturbi alimentari». Anna Chiara scrive nel suo libro di essere diventata più consapevole e saggia, ma condivide la sua scoperta più importante nel consiglio che inserisce proprio alla fine, rivolto ad altre persone che stanno facendo il suo stesso percorso, ma utile per tutti: «Mettete amore in tutto ciò che fate, sempre, perché tutto vince l’Amore».
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