Cronaca / Bergamo Città
Sabato 18 Aprile 2020
L’incognita ripartenza in Bergamasca
In attesa 48 mila aziende - Mappa
Lo stop riguarda imprese con un fatturato annuale totale di 37 miliardi e 137 mila dipendenti. Impatto più alto per Basso Sebino, Isola e Bassa orientale.
Cancelli chiusi, operai sul divano, fatturato che cala. Pensare che tutto questo cambierà dal prossimo 4 maggio, dopo oltre un mese di quarantena, sembra irreale. Non ci credono troppo nemmeno gli imprenditori bergamaschi. Guardano con attenzione il calo dei contagi, sperano, ma ora invocano decisioni nel segno della sicurezza per evitare gli errori - tanti, troppi - commessi all’inizio dell’emergenza coronavirus.
In questo ondeggiare continuo di dichiarazioni è davvero difficile capire cosa succederà tra pochi giorni, se e quali aziende riapriranno, quanto riapriranno, con quali misure di protezione per i dipendenti. L’unica certezza per ora sono le chiusure: dallo scorso 25 marzo il governo ha stabilito la serrata di tutte le attività produttive e i servizi «non essenziali». Hanno continuato a lavorare solo le aziende legate all’emergenza, come quelle che producono dispositivi per il sistema sanitario, oltre ovviamente alla produzione di alimenti, farmaci e altri prodotti fondamentali.
Grazie ai dati Istat è possibile quantificare l’impatto del blocco. In provincia di Bergamo, tra aziende e servizi, sono chiuse 48 mila attività economiche delle 90 mila totali. Tutte le imprese che in questo momento non possono produrre generano un fatturato annuale di 37 miliardi di euro, un valore aggiunto di 9 e danno lavoro a 137 mila dipendenti.
In questo preciso quadro tracciato dall’Istituto nazionale di statistica si inseriscono però due variabili. La prima riguarda le aziende che, pur non rientranti nelle categorie «essenziali», hanno continuato la produzione. Sono circa 100 mila in tutta Italia, secondo le stime diffuse dal Viminale. Una possibilità garantita dal decreto inviando una semplice lettera al prefetto per autodichiararsi fornitori della filiera emergenziale. La seconda variabile è rappresentata dalle imprese che sono riuscite ad organizzare in breve tempo lo smart working.
La mappa dei Comuni con le percentuali più alte di attività sospese mostra come l’impatto sia maggiore in alcune zone come il Basso Sebino, l’Isola e la Bassa orientale con picchi nei piccoli Comuni - Cornalba, Valgoglio, Fonteno, Adrara San Rocco - a causa delle poche aziende presenti. Interessante anche la distribuzione territoriale del fatturato, su cui incide anche la presenza di grandi aziende. Soffre soprattutto Treviglio, che conta attività ferme per un fatturato totale di 1 miliardo e 300 milioni di euro. Seguono la città di Bergamo con 1 miliardo 134 milioni di euro, Dalmine 800 milioni, Stezzano 755 milioni, Grassobbio 453 milioni. È la città invece a svettare per numero di dipendenti «fermi», 13 mila, mentre al secondo posto c’è Curno con 4.200 e al terzo Treviglio a poca distanza: 4.194.
Numeri che fanno capire la portata del provvedimento e che devono far riflettere soprattutto sulle conseguenze di una possibile riapertura immediata e incondizionata. Perché migliaia di persone che tornano a lavorare e a muoversi tra i Comuni bergamaschi possono far tornare l’incubo del contagio che la provincia ha combattuto con enormi sacrifici.
Il presidente della Lombardia Attilio Fontana l’ha definita «la ripresa in 4D, la via lombarda per la libertà». Le quattro D stanno per «Distanza di sicurezza», «Dispositivi», cioè obbligo di mascherina per tutti, «Digitalizzazione», quindi obbligo di smart working, «Diagnosi», ovvero i test sierologici. Proprio su quest’ultimo punto, decisivo, si registra l’incertezza più grande. Il ritmo attuale dei tamponi è troppo lento per permettere a tutti di sottoporsi al test. Sui test sierologici invece non ci sono ancora sicurezze. La Regione ha assicurato che il via scatterà dal prossimo 21 aprile, martedì, con partenza dalle province di Bergamo, Brescia e Cremona. Al passo di 20 mila al giorno però servirebbero 500 giorni per testare tutti i cittadini lombardi. Troppi. Solo con la patente di immunità però si può tornare al lavoro senza il pericolo di contagiare e di essere contagiati. Le aziende aspettano risposte al più presto.
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