Cronaca / Bergamo Città
Lunedì 22 Febbraio 2021
Le immagini che non dimenticheremo
Un anno di Covid a Bergamo - Fotogallery
Dalla chiusura del Pronto Soccorso di Alzano al primo lockdown totale. Il silenzio surreale per le strade e la dura battaglia con il virus nelle case dei bergamaschi. Ecco il racconto per immagini tra dolore e memoria.
È ancora difficile tornare a guardare le immagini di quei giorni a cavallo tra febbraio e marzo 2020 per chi vive a Bergamo. Il dolore è vivo per le tante perdite di vite umane - quasi settemila morti - nella nostra provincia per il Covid. La ferita è aperta anche perché il virus è ancora tra noi: preoccupa la diffusione delle varianti ma la scoperta del vaccino e le prime somministrazioni ci permettono di guardare avanti con maggiore fiducia. C’è voglia, tanta, di ripartire, per tutte quelle categorie colpite anche economicamente dalla pandemia, per i bambini e i giovani che hanno patito il lockdown della scuola e delle relazioni. Proviamo a ricordare insieme quei giorni, per non dimenticare, per fare memoria delle persone che non ci sono più, per ripartire anche forti di aver attraversato con dignità e coraggio quello che è accaduto.
Le immagini che abbiamo selezionato dall’archivio de L’Eco di Bergamo fanno riaffiorare la sofferenza di quei giorni, tanta, ma anche altrettanta solidarietà. Tutto è cambiato quel 21 febbraio quando in Lombardia è stato annunciato il primo caso a Codogno nel Lodigiano. Il paziente numero uno, un uomo di 38 anni, risultato positivo al coronavirus. Fino ad allora il Covid sembrava lontano, in Cina, a Wuhan, si guardava con preoccupazione solo ai casi diffusi tra i turisti cinesi o ai contatti di connazionali con la Cina per rilevare eventuali campanelli d’allarme. E invece oggi sappiamo che il virus circolava già anche qui, da noi, da tempo, almeno da fine anno. C’è un prima e un dopo quel 21 febbraio, il giorno in cui quella che noi tutti conoscevamo come la nostra normalità, fatta di pranzi della domenica in famiglia, serate con gli amici, lezioni a scuola, incontri nei luoghi di lavoro, vita all’aria aperta, matrimoni e riti da celebrare, si è interrotta e ancora si fatica a ritrovare.
Poi il 23 febbraio l’allarme all’ospedale di Alzano, la chiusura temporanea del Pronto Soccorso, i casi che crescono a Codogno, a Vo’ Euganeo nel Veneto, ad Alzano e Nembro. Nella notte tra domenica 23 e lunedì 24 febbraio si registra la prima vittima accertata di Covid in Bergamasca: è Ernesto Ravelli, 83 anni, di Villa di Serio.
C’è il desiderio di non fermarsi, di andare avanti, sono i giorni degli slogan #Bergamononsiferma, ma intanto vengono proclamate le prime zone rosse per casi fuori controllo nel Lodigiano e nel Veneto. Per giorni si è in balia delle decisioni anche su Alzano e Nembro mentre i casi registrano un’impennata. Oggi è aperta un’inchiesta della magistratura di Bergamo per far luce sulle responsabilità istituzionali di quelle scelte.
Intanto l’ospedale Papa Giovanni XXIII cambia pelle in pochissimo tempo: il 25 febbraio viene allestito il tendone davanti al Pronto Soccorso per lo screening dei casi Covid. Le linee telefoniche approntate dalle autorità sanitarie sono intasate per le continue chiamate. Moltissime persone iniziano ad avvertire quei sintomi che ormai conosciamo molto bene: febbre persistente, assenza di gusto e olfatto, dolori muscolari, difficoltà respiratorie.
Le mascherine di protezione vanno esaurite nelle farmacie in pochissimo tempo: nei supermercati alcol e amuchina spariscono dagli scaffali. Le sarte della Valle Seriana, gli artigiani e molte aziende convertiranno presto la produzione per realizzare altri presidi sanitari per medici e operatori.
Il 24 febbraio il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana e l’allora assessore al Welfare, Giulio Gallera, entrano nelle nostre case con la prima delle conferenze stampa che da Palazzo Lombardia faranno il punto sulla situazione sanitaria con il numero di casi di Covid. Viene annunciato che le scuole resteranno chiuse dal 26 febbraio fino al 1° marzo. In realtà non apriranno più per tutto l’anno scolastico.
Una comitiva di 29 bergamaschi in vacanza a Palermo viene isolata per un caso di coronavirus il 25 febbraio. In molti siciliani appendono biglietti con messaggi di incoraggiamento sul vetro della finestra dell’albergo che li ospita. Ritorneranno a casa il 9 marzo.
L’8 marzo arriva il decreto della presidenza del Consiglio dei ministri che stabilisce che la Lombardia è zona rossa insieme ad altre 14 regioni. Le autorità sanitarie stabiliscono che gli ospedali devono chiudere tutte le attività non d’urgenza: attività chirurgica e ambulatoriale. Tutte le energie sono concentrate sulla pandemia. Il 9 marzo un nuovo decreto proclama il lockdown nazionale, noto come «Io resto a casa». Vengono chiuse le frontiere e le attività non necessarie nel tentativo di arginare il virus. La popolazione è costretta a casa e deve uscire solo per comprovate esigenze di salute o lavorative. Le attività produttive non indispensabili vengono sospese dal 23 marzo.
Bergamo diventa una città «surreale», deserta: a interrompere il silenzio solo le sirene delle ambulanze, le campane che ricordano i morti. Non si sente chiacchierare ai tavolini del bar, nei ristoranti, non si sente il rumore delle auto, il vociare dei bambini fuori dalle scuole, le grida dallo stadio, il suono dei clacson.
Inizia a salire giorno dopo giorno il numero delle vittime: sono i giorni delle file delle ambulanze in attesa di entrare al Pronto Soccorso dell’ospedale di Bergamo e di Seriate. Gli ospedali sono in sofferenza: i medici e gli operatori sanitari, nonostante turni estenuanti, riescono a fatica a far fronte a tutti i malati. Il virus corre veloce ed è un nemico che non si conosce: s’iniziano a comprendere alcuni dei sintomi con cui si manifesta ma è ancora difficile capire come curarlo, anticipare le sue mosse, quali farmaci usare, come fermare la sua corsa inarrestabile.
Il 14 marzo gli ospedali sono al collasso. Le Terapie intensive si riempiono di pazienti che hanno bisogno di caschi per la respirazione. Molte persone a casa accusano difficoltà respiratorie, polmoniti bilaterali, aspettano un tampone che non arriva. Sono giorni di una battaglia silenziosa e in solitudine di tante famiglie tra le mura domestiche, i giorni in cui non abbiamo potuto stringere le mani dei nostri cari per fargli coraggio o per dargli l’ultimo saluto. I giorni che pesano sulle nostre coscienze. Tra le vittime gli anziani nelle case di riposo ormai off limits.
Molti malati di coronavirus vengono trasferiti da Orio al Serio su voli militari in altre regioni italiane e addirittura in altri Paesi, in Baviera (Germania), perché a Bergamo non ci sono più posti disponibili.
Le Forze dell’ordine assumono un ruolo fondamentale: Polizia, Carabinieri, Vigili del fuoco non si fermano, sono vicini alle famiglie, si rendono disponibili per il trasporto di viveri, medicine e bombole d’ossigeno, aria e vita per molti bergamaschi.
«Bergamo mola mia»: è l’incitamento che viene anche dai bergamaschi espatriati in tutto il mondo che assistono inermi a quello che succede nella loro città. Realizzano un video per far sentire la loro vicinanza, un moto di affetto. Lo ricordano i bimbi e le famiglie che cercano di farsi forza pensando che dopo la tempesta tornerà l’arcobaleno con i suoi colori. I balconi, le case, le finestre, le ringhiere degli ospedali e delle scuole, si riempiono di disegni e manifesti il 14 marzo sotto il motto #andratuttobene.
Il giorno più brutto, quello che nessuno dei bergamaschi potrà mai dimenticare, è il 18 marzo 2020: una fila di camion militari lascia il cimitero monumentale e percorre via Borgo Palazzo verso l’imbocco dell’autostrada, nella notte, in silenzio per portare in altri Comuni d’Italia i feretri dei bergamaschi vittime dell’epidemia del coronavirus. Nel camposanto cittadino non si riesce a gestire la tragica situazione: le salme vengono trasferite in altre città per essere cremate. Uomini e donne, padri e madri, figli e affetti strappati anche all’ultimo saluto dei propri cari. Il 18 marzo di ogni anno quei morti, i nostri morti, verranno ricordati nella Giornata nazionale in memoria di tutte le vittime dell’epidemia di coronavirus. Il 21 marzo si registra il picco di contagi: 715 in 24 ore e 256 decessi.
Le 13 pagine de «L’Eco di Bergamo» con i necrologi pubblicate il 24, 25 e 26 marzo fanno il giro del mondo. Bergamo è ormai suo malgrado il cuore della pandemia, la città italiana più tristemente famosa. Quella che ha pagato il prezzo più caro a SarsCov2.
Il 28 marzo «The New York Times» dedica la prima pagina del quotidiano internazionale a Bergamo con un reportage «nel cuore dell’epidemia di coronavirus più mortale al mondo».
Il vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, al cimitero monumentale in città, il 27 marzo, prega per le vittime di coronavirus. Ricorda di restare «uniti nella distanza» grazie alla preghiera in questa Pasqua per la terra di Bergamo. Di lì a poche ore Papa Francesco, in una Piazza San Pietro vuota e lucida di pioggia, invocherà la benedizione del Signore come sostegno e forza per tutto il mondo. «Dio, non lasciarci in balìa della tempesta» esorterà il Santo Padre.
L’artista bergamasco Roby Facchinetti, con l’amico di sempre dei Pooh, Stefano D’Orazio (poi vittima egli stesso di Covid), compongono «Rinascerò, rinascerai», un vero e proprio inno alla forza e omaggio alla resistenza dei bergamaschi e degli italiani nella pandemia.
E poi quel grande piccolo miracolo di solidarietà: in dieci giorni, grazie all’Associazione nazionale alpini di Bergamo, a tanti artigiani di Confartigianato Imprese Bergamo, ai volontari della Curva Nord, alla Fiera di Bergamo prende forma un nuovo reparto di Terapia intensiva, un padiglione distaccato del Papa Giovanni XXIII, che avrà il compito di fare da supporto al nosocomio cittadino. Il cantiere apre il 22 marzo e sarà inaugurato il 1° aprile: resterà in funzione per la prima ondata della pandemia fino al 23 maggio, giorno in cui verrà dimesso l’ultimo paziente. Avrà curato almeno 100 pazienti grazie ai medici e operatori sanitari della Protezione civile e degli Alpini, della Federazione Russa e di Emergency che hanno affiancato il personale dell’ospedale Papa Giovanni.
Di grande utilità anche il lavoro dei volontari di «BergamoXBergamo» realizzato grazie al Comune e al mondo della cooperazione: quasi un migliaio di giovani, uomini e donne, che si occupano di portare spesa, medicinali, rispondere al telefono per tutte quelle famiglie che sono isolate a casa. Grazie a L’Eco di Bergamo, alla Caritas diocesana bergamasca e Confindustria prende forma l’iniziativa «Abitare la cura», una sottoscrizione aperta a tutti i cittadini per sostenere le strutture sanitarie e le famiglie in alcune delle fasi più delicate della cura dei malati. Un progetto che raccoglierà tre milioni e mezzo di euro e permetterà di accogliere molti pazienti in dimissione dagli ospedali in alberghi convertiti a luoghi di cura per la lungo degenza e la riabilitazione post Covid.
Inizia anche un lavoro di sanificazione dei luoghi di lavoro e di cura: fondamentale l’aiuto dei tecnici della Federazione Russa.
Durante la prima tappa in Lombardia l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nella tarda serata del 27 aprile, ormai a due mesi dall’inizio della pandemia, arriva a Bergamo, in occasione dell’avvio della Fase due: si allentano le misure del lockdown. Il numero dei guariti sale e quello dei contagi inizia a scendere. Il premier porterà il suo grazie ai medici e agli operatori sanitari. Il lockdown terminerà di lì a pochi giorni, il 4 maggio.
Centomila copie della bandiera con il grande cuore rosso, scelta dai lettori de L’Eco di Bergamo e prodotta dal nostro gruppo editoriale Sesaab, verranno distribuite con il giornale per i suoi 140 anni di storia, nell’edizione del primo maggio. «Noi amiamo Bergamo» diventa il simbolo della rinascita.
In tutta Italia a un anno di distanza dall’inizio della pandemia piangiamo 95.235 morti, contiamo circa 2,780 milioni di casi accertati e ancora 382 mila attualmente positivi. I morti (dati della Protezione civile al 20 febbraio) in Lombardia sono a oggi quasi un terzo delle vittime nazionali, 27.971 con 573 mila casi accertati. A Bergamo le vittime sono quasi settemila, il doppio di quelle accertate dalle statistiche ufficiali. L’Eco di Bergamo li ha ricordati con un’installazione «Ogni vita è un racconto»: un memoriale per le vittime del Covid in piazzetta don Andrea Spada visibile fino al 3 giugno e ora online.
«Qui c’è il cuore dell’Italia ferita» dirà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al cimitero monumentale, per la Messa da Requiem di Gaetano Donizetti, il 28 giugno. Con lui il sindaco Giorgio Gori, il presidente della Provincia, Gianfranco Gafforelli, i 243 sindaci della provincia e il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. «Il destino di tante persone e delle loro famiglie è cambiato all’improvviso. Vite e affetti strappati, spesso senza un ultimo abbraccio, senza l’ultimo saluto, senza poter stringere la mano di un familiare. Tutti conserviamo nel pensiero immagini che sarà impossibile dimenticare – ha fatto notare il Capo dello Stato –. Cronache di un dolore che hanno toccato la coscienza e la sensibilità di tutto il Paese, ma che, per chi le ha vissute personalmente, rappresentano cicatrici indelebili».
«Non sarà come prima perché ci mancheranno persone care, amici, colleghi. Non sarà come prima perché la sofferenza collettiva, che all’improvviso abbiamo attraversato ha certamente inciso, nella vita di ciascuno, sul modo in cui si guarda alla realtà. Sulle priorità, sull’ordine di valore attribuito alle cose, sull’importanza di sentirsi responsabili gli uni degli altri» ricorderà il Capo dello Stato. «La strada della ripartenza – ha fatto notare il Presidente della Repubblica – è stretta e in salita. Va percorsa con coraggio e determinazione. Con tenacia, con ostinazione, con spirito di sacrificio».
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