Cronaca / Bergamo Città
Domenica 09 Aprile 2017
La gioia quotidiana delle piccole cose
dopo la lotta con «l’imperatore del male»
Alla porta di Anna Novati Sala, che oggi ha 62 anni e vive a Cinisello Balsamo, il «nemico» ha suonato due volte: la prima nel 2005, quando si è accorta per caso di una «pallina» nel seno; la seconda l’anno scorso, quando, allo stesso modo, guardandosi allo specchio, ha notato uno strano rigonfiamento sul collo. In entrambi i casi a salvarla è stata la tempestività.
«La prima volta - ricorda - sono andata subito dal medico e nel giro di pochi giorni ho iniziato gli approfondimenti necessari: l’ecografia, la mammografia, l’ago aspirato. Purtroppo l’esito è stato positivo e così ho dovuto subire una mastectomia bilaterale». L’intervento, eseguito in una clinica milanese, è andato bene, e subito dopo i medici hanno indirizzato Anna all’ospedale di Bergamo per farle proseguire le terapie: «Ci hanno indicato questa struttura come affidabile e ben organizzata. Abbiamo incontrato Carlo Alberto Tondini, responsabile dell’unità interna dell’oncologia medica, e ci è piaciuto subito il modo in cui ci ha accolto: si è dimostrato sempre attento alle nostre esigenze, disponibile a sciogliere le nostre paure e i nostri dubbi». Quando parla del suo viaggio da una sala d’aspetto all’altra, da una seduta di radioterapia a una di chemio, Anna usa sempre la prima persona plurale, «noi» e non si tratta di una scelta casuale: «Guai se non ci fossero stati mio marito Luigi e mio figlio Jacopo, che ha 27 anni e si è appena laureato in chimica. Senza il loro incoraggiamento avrei perso subito la voglia di lottare».
Nell’agosto 2016 Anna ha notato un rigonfiamento sul collo: «Data l’esperienza già vissuta, non ho esitato a rivolgermi al medico di base. Lui inizialmente mi ha rassicurato, dicendomi che poteva trattarsi di un lipoma, cioè un tumore benigno del tessuto adiposo, ma per scrupolo ha voluto che mi sottoponessi comunque a una serie di esami: ecografia, ago aspirato. È stata una fortuna, perché anche questa volta il verdetto è stato tremendo. Ricordo bene quel giorno, quando la patologa mi ha telefonato a casa. Fino ad allora, non so in che modo, avevo cercato di illudermi che non fosse nulla, che fosse qualcos’altro, non lo so nemmeno io: volevo rimuovere il problema».
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