«Io che studio i virus
sono guarito dal Covid»

Alberto Zucchi, epidemiologo dell’Ats: «Mai avuto paura. Isolamento sociale? Necessario e non proibitivo».

«No, guardi, non mi sento un sopravvissuto». La domanda un po’ avventata del cronista deve suscitargli un sorriso, perché il tono di voce al telefono adesso è quasi divertito. Alberto Zucchi è ormai guarito dal Covid-19, cosa che, pur di fronte a un non trascurabile numero di morti, è piuttosto nella norma. Singolare, semmai, è che a esserne colpito sia stato il responsabile del Sevizio epidemiologico dell’Ats di Bergamo. Ma, sospira lui, «anche ai medici capita di ammalarsi». Questo virus, dice, è impossibile da definire. Soprattutto all’inizio, forse già a gennaio, quando cominciava a diffondersi in Italia e i sintomi dei primi contagiati venivano probabilmente scambiati per quelli di una semplice influenza, al massimo di una polmonite.

Lei, dottore, quando se n’è accorto?
«Il venerdì di due settimane fa».

Che si sentiva?
«Ho iniziato ad avere banalissimi sintomi di raffreddore, mal di gola, senso generalizzato di stanchezza. Il giorno successivo, sabato, ho cominciato ad avere tosse persistente e la febbre ha iniziato ad alzarsi, fino a 38,8°».

È stato ricoverato in ospedale?
«No, fortunatamente non ho avuto alcuna complicanza polmonare. La febbre, per quanto fastidiosa, rispondeva molto bene alla tachipirina. È bastato assumere quest’ultima per tenerla sotto controllo. La tosse, invece, mi impediva di dormire con continuità. Sono rimasto in quarantena, che scade domani sera (oggi per chi legge, ndr), in vigilanza attiva, nel senso che dal dipartimento preposto mi chiamavano al telefono ogni giorno per verificare l’andamento dei sintomi».

Quant’è durata la febbre?
«Sette, 8 giorni, mai alta a parte il picco di 38,8° dei primi giorni. Tant’è che dopo 5, sei gironi ho cominciato a lavorare da casa».

Non temeva di contagiare il resto della famiglia?
«Ho moglie e due figli, uno di 21, l’altro di 17 anni, e ho usato le dovute precauzioni. Ho dormito in un’altra stanza, ho usato un bagno separato, mangiavo a orari diversi. Loro per ora non hanno manifestato sintomi».

Sincero, non ha mai avuto paura?
«No, ho un’età non avanzatissima, 59 anni, e godo di buone condizioni generali di salute. Il problema non è il virus in quanto tale; è la sua azione, che tende ad aggravare le condizioni di pazienti che hanno altre importanti patologie o che sono molto anziani e dunque di per sé molto fragili».

No, perché ultimamente nella gente s’è inculcata la formula «contagio uguale morte».
«Date certe condizioni di base, se ne può uscire in maniera tranquilla, tant’è vero che io dopo qualche giorno già stavo lavorando da casa. Non è un virus come l’Ebola o la Sars. Diciamo che ho vissuto un’esperienza di tipo fastidioso, ma l’ho vissuta con estrema serenità. Ed è quello che capita nella maggior parte dei casi, rimanendo ovviamente in un contesto di buona salute generale e di età non avanzatissima, anche se è vero che qualche non anziano in terapia intensiva c’è finito. Un 5% è composto da persone positive ma asintomatiche, un altro 15-20% ha passato il virus con mal di gola e due linee di febbre. Nella maggior parte dei casi si guarisce».

Non l’ha annoiata questo regime da arresti domiciliari?
«Ritengo che l’esclusione sociale sia l’unico tipo di risposta che possa rallentare la curva epidemica. Con tv, telefonini e internet si può comunque avere una vita sociale. Non è poi così drammatico l’isolamento. E in questo momento è indispensabile».

Dunque le misure prese dal governo sono corrette, secondo lei?
«Certo, sono limitazioni necessarie a rallentare il virus. Non muore nessuno se fino al 3 aprile non possiamo andare a farci un aperitivo in 40».

Il momento più brutto quale è stato?
«Guardi, non vorrei sembrare facilone, ma non ho mai avuto la sensazione di essere in pericolo e di vivere un momento drammatico. E ora posso dire che sarò tra i primi guariti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA