«Io, assolto con formula piena
Da solo davanti ad accuse ingiuste»

«Quando i carabinieri cominciarono a fare domande ai miei colleghi di reparto, pensavo che qualcuno di loro avesse avuto problemi sul lavoro. A un certo punto, improvvisamente, capii che il problema ero io».

Stefano Zenoni, 59 anni, è stato primario di Oculistica agli ex Ospedali Riuniti fino al 2012, quando fu costretto a dimettersi, dopo aver scoperto di essere finito sotto inchiesta. Dopo quattro anni sulla graticola, la vicenda giudiziaria si è conclusa per lui con l’assoluzione da ogni accusa. Ma le cicatrici sono rimaste.

Dottor Zenoni, di cosa era accusato?

«Peculato e abuso d’ufficio perché la mia segretaria in ospedale veniva a dare una mano anche nel mio studio professionale (tutto spiegato dal fatto che lavoravo anche in regime di intra mœnia allargata e quindi il mio studio era una sorta di prolungamento dell’ospedale); concussione, perché avrei indotto 10 pazienti a prestazioni private a pagamento; falso, in relazione a correzioni su 108 cartelle sanitarie; violenza privata, perché avrei minacciato colleghi costringendoli a concorrere nell’alterazione delle cartelle; un’altra concussione per avere indotto i pazienti a sottoporsi a visite private a pagamento nel mio studio per accelerare gli interventi; truffa aggravata allo Stato per aver lavorato due giorni quando ero in malattia».

E come è finita?

«Assolto con formula piena».

Ci spieghi.

«In primo grado caddero tutte le accuse tranne quella di falso, relativa però solo a una trentina di cartelle, per cui venni condannato a due anni con la condizionale. Ma in appello sono stato assolto anche da quest’ultima contestazione. Mi si accusava di aver modificato il dato relativo al visus di alcuni pazienti, facendo figurare una condizione di partenza peggiore di quella che era, per far figurare com’ero stato bravo a operarli. Non era vero. E comunque non stava in piedi: la calligrafia non era la mia, alcune modifiche erano in senso migliorativo, altre riguardavano l’occhio non operato. Come se non bastasse, la sentenza di appello dice che non c’è alcuna prova che le modifiche non fossero state fatte per valutazioni mediche».

Una costola di quel procedimento, però, è ancora aperta.

«Sì, i giudici di primo grado stabilirono che non si poteva neppure contestare la concussione, ma tutt’al più l’abuso d’ufficio, in relazione alle presunte corsie preferenziali per i miei pazienti che dovevano essere operati. Ci sarà quindi un processo con l’ipotesi così riformulata. Ma gli atti sono gli stessi, quindi mi difenderò così come ho fatto finora, finendo assolto».

È uscito indenne da numerose accuse. Come si sente?

«Indenne? Dal punto di vista giudizario sì, per il resto non direi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA