«Immuni», subito un boom di download
Ma non tutti i telefonini supportano l’app

L’attesa è stata ripagata da un boom di download: 500 mila nelle prime 24 ore. Parliamo dell’app Immuni.

Dal 1° giugno lo strumento elaborato dal governo per contribuire al tracciamento dei positivi, nel rispetto della privacy è disponibile negli store digitali di Apple e Google. A svilupparla, al termine di una procedura di scelta guidata dal governo (e dal commissario Arcuri), è Bending Spoons, società italiana fondata nel 2013 da cinque under 30, poi diventata leader europea nella creazione di app. Qualcuno (un numero importante di persone), però, si è ben presto accorto che il proprio telefono non supporta l’applicazione.

In realtà, gli stessi sviluppatori della app hanno spiegato che «non tutti i dispositivi sono supportati»: nelle Faq disponibili sul sito immuni.italia.it, infatti, vengono elencate le caratteristiche che i telefoni devono avere per poter utilizzare la app. «Puoi scaricare Immuni dall’App Store e usarla correttamente se il tuo iPhone ha iOS versione 13.5 o superiore. Aggiorna iOS all’ultima versione disponibile prima di effettuare il download di Immuni - si legge sul sito -. I modelli di iPhone che supportano iOS 13.5 sono i seguenti: 11, 11 Pro, 11 Pro Max, Xr, Xs, Xs Max, X, SE (2nd generation), 8, 8 Plus, 7, 7 Plus, 6s, 6s Plus, SE (1st generation). Non potrai usare Immuni se il tuo modello di iPhone non permette l’aggiornamento di iOS a una versione pari o superiore alla 13.5».

Per quanto riguarda i dispositivi con Android, occorre verificare che il proprio telefono abbia tre requisiti: che supporti la Bluetooth Low Energy; che Android sia versione 6 (Marshmallow, API 23) o superiore; che Google Play Services sia aggiornato alla versione 20.18.13 o superiore. «Non potrai usare Immuni se il tuo modello di smartphone Android non ha il Bluetooth Low Energy o non permette l’aggiornamento di Android e di Google Play Services alle versioni minime indicate», aggiungono gli sviluppatori.

In sintesi: tra i dispositivi marchiati con la mela, Immuni non funziona su iPhone 6, 5s e 5, usciti tra il 2012 e il 2014; tra gli smartphone griffati Android, non sono supportati per esempio i Samsung Galaxy S4 ed S3, o l’LG G2. Più contorta la situazione degli Huawei, perché l’aggiornamento di Android si scontra col «ban» imposto dagli Usa al marchio cinese: per questo «inghippo», gli Huawei usciti prima del 16 maggio 2019 (per esempio il P30, il P20, il mate 20) continuano a ricevere gli aggiornamenti di Android e dunque risultano compatibili con Immuni, mentre telefoni più recenti, usciti appunto dopo il 16 maggio 2019 (data del «ban» degli Usa nei confronti di Huawei; Google, che sviluppa il sistema operativo Android, è appunto statunitense), come il P40, il Mate 30 e il Mate Xs, al momento non possono supportare Immuni. «Al momento», però: i programmatori dell’app stanno infatti lavorando per rendere disponibile Immuni anche su AppGallery, il nuovo store alternativo sviluppato da Huawei.

Ma come funziona Immuni? Alla base c’è la tecnologia Bluetooth Low Energy: ecco perché un telefono che supporta questa tecnologia non supporta nemmeno immuni. Scaricata la app sul telefonino, va attivato il bluetooth. Con la app in funzione, lo smartphone emette - tramite la tecnologia Bluetooth Low Energy - un codice casuale. Quando due persone con la app Immuni si incrociano, scambiano questi codici casuali e registrano la durata del contatto. Qualora l’utente con la app installata sul proprio telefono risulti positivo al Covid (dopo essere stato sottoposto al tampone), tramite l’aiuto di un operatore sanitario potrà caricare sul server di Immuni una chiave crittografica che consentirà di risalire ai propri codici casuali generati giorno dopo giorno: da qui si risalirà ai contatti, e in base alla durata e alla distanza temporale del contatto verranno inviati degli «alert» alle persone potenzialmente contagiate.

Il sistema, dunque, garantisce appieno la privacy; non c’è geolocalizzazione, non ci sono dati personali. Per renderla efficace, servono però due condizioni: primo, un sistema rapido di tamponi (e rapido deve essere anche l’upload della «notizia» della positività dei server); secondo, che i potenziali contagiati contattino immediatamente il proprio medico.

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