I bergamaschi sono tornati a Lourdes
per dare un senso alla ripartenza

Per la prima volta dopo la pandemia in 400 si sono recati nel santuario mariano in Francia. Il vescovo Francesco Beschi: «Può andare tutto male, ma se apriamo la porta a Dio le negatività non occuperanno il nostro cuore»

Fuori c’è il mondo. Con i suoi mugugni, le sue proteste, le divisioni, la rabbia, le preoccupazioni, le stonature dell’anima e le mille voci del dolore. Dentro c’è ancora lo stesso mondo, ma di colpo non è più assordante. A Lourdes i suoni si attutiscono, le parole si affievoliscono. E a calamitare l’attenzione, credenti o non credenti, non è il viale d’ingresso con l’Incoronata al centro e la grande Basilica sullo sfondo, ma gli sguardi. Quegli occhi carichi di storie, proiezione di cuori scombussolati. Alcuni sono lucidi d’emozione, altri spenti da un cortocircuito di sofferenza, altri ancora inumiditi da lacrime che domandano. Tutti, proprio tutti, di fronte «alla signora vestita di bianco», di fronte al candore della statua dell’Immacolata, si spogliano. Non si tolgono i vestiti ma è come se lo facessero, si spogliano di se stessi in un gesto di umiltà spontanea o forse solo di stanchezza rispetto alla vita. Ci si arrende di fronte a qualcosa di incomprensibilmente più grande. Esattamente come Bernardette nelle prime Apparizioni, su indicazioni della Madonna, raccolse fango per cercare la sorgente miracolosa.

In volo da Orio

I pellegrini bergamaschi, che lunedì 18 ottobre hanno volato da Orio a Lourdes con l’Agenzia Ovet per una giornata nel santuario tra i più noti al mondo, si sono accostati alla grotta di Massabielle con questo atteggiamento. È stato il pellegrinaggio della ripartenza, carico di significati per chi ha vissuto i picchi più violenti della pandemia. E il vescovo Francesco Beschi, che ha accompagnato i quattrocento fedeli provenienti da varie parrocchie della diocesi, ha colto questo sentimento di fondo portandolo sulle sue spalle e offrendolo all’altare della Madonna, là dove ogni anno si inginocchiano, in un rito misto di fede totale e di desiderio faticoso di credere, milioni di persone provenienti da tutto il mondo. Lourdes è l’archivio delle sofferenze umane più grande del pianeta. Non esistono server in grado di contenere i dati personali di chi, in questo viaggio al centro della spiritualità, ha chiesto una grazia, la Grazia.

L’emozione nella grotta

Monsignor Beschi non conosceva tutti i pellegrini che lunedì ha accompagnato al santuario, ma durante il viaggio e gli spostamenti li ha osservati, li ha guardati con occhio paterno e, non appena ha raggiunto la grotta, si è soffermato in silenzio, da solo, rivolto verso la statua nella nicchia. In quel momento, tutti gli sguardi coincidevano con la sua preghiera. Un carico di forte emozione che poi ha trasmesso pubblicamente durante la Messa celebrata all’altare della grotta con i sacerdoti bergamaschi presenti al pellegrinaggio. «Rallegratevi!» è il messaggio esortativo con il quale ha aperto l’omelia. Come l’Angelo lo disse a Maria, così il vescovo Francesco lo ha detto ai bergamaschi. «In che condizioni era Maria quando è stata visitata dall’Angelo? Aveva le sue pene, forse era in un momento di aridità personale. Non lo sappiamo. Ma ha aperto la porta, il suo cuore all’Angelo. Così dobbiamo fare anche noi. Noi disamorati, scoraggiati, senza fiducia». Ma come si fa a dirlo a chi soffre? Come farlo accettare a chi ha visto letteralmente sparire un proprio caro nel vortice del Covid? Rabbia e paura continuano ad essere sentimenti molto diffusi, nonostante le riaperture. La ferita non è rimarginata, mente e cuore ne conservano ancora vivo il dolore.

«L’Angelo – ha detto monsignor Beschi – vuole entrare nella nostra casa, nella nostra vita, ma forse noi siamo fuori, distratti da una negatività che ci prende l’anima. Oppure siamo dentro casa ma abbiamo paura ad aprire». Una condizione che in tanti hanno sentito propria ieri davanti alla grotta. E allora che senso può avere un pellegrinaggio a Lourdes? Non è la magia del luogo che può sciogliere i nodi. Non è l’acqua miracolosa raccolta nelle boccettine con la statua della Madonna (che rischia di fare un po’ da «mercanti nel tempio») a guarire tutti i malesseri. È la domanda che fa la differenza. La fede è domanda. E la domanda è chiedere e predisposizione ad accogliere, non pretendere né protestare. «Non siamo venuti qui inutilmente – ha infatti sottolineato il vescovo Francesco – ma per metterci a disposizione di questo annuncio di Dio a Maria, anche alla Chiesa appesantita e sfiduciata. Dio sarà sempre la nostra gioia, anche quando saremo tentati dalla disperazione». Capita sempre più spesso di sentir dire da parenti, amici, vicini, colleghi di lavoro: ma a me va tutto male. «È vero, può anche andare tutto male – ha ammesso il vescovo – ma è la Grazia che ci cambia la vita. Noi non siamo immacolati, siamo invischiati in vicende molto pesanti, portiamo il peso delle colpe e pure le conseguenze, ma se ci rallegriamo, se apriamo la porta a Dio come ha fatto Maria, tutte queste negatività non occuperanno il nostro cuore. L’amicizia di Dio ci aiuta a guardare l’altro come lo vede Dio». Il grande dono di questo pellegrinaggio a Lourdes è stato restituire lucentezza agli sguardi. A quegli occhi spenti e sofferenti che avevano varcato il santuario in mattinata. «Sotto lo sguardo di Maria e la luce di Dio – ha concluso il vescovo – i nostri sguardi sono illuminati». E non c’è miracolo più grande per un uomo: essere luce a se stesso e per gli altri. Uscendo da Lourdes, la sensazione (il cambiamento?) è davvero quella di non essere al mondo per caso.

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