Cronaca / Bergamo Città
Giovedì 10 Gennaio 2019
«Giovanni, una divisa per sentirsi libero»
Parole fuori dal coro sul manager morto in Siria
Lo scrittore Claudio Calzana, amico di lunga data, ricorda il manager di Ponteranica morto in Siria dopo essersi arruolato con le milizie curde.
Giovanni lo conoscevo da sempre, visto che ho frequentato la casa di famiglia per decenni. Come è possibile collegare il ragazzo che cura l’orto, che fa la marmellata di cotogne, che mi tiene lezioni di algebra pur avendo 7 anni meno di me, con l’espressione indurita della foto in mimetica? Non è il suo volto, quello. Lui portava con garbo un certo qual sorriso da persona mite. Ora mi prenderete per matto: persona mite cosa se era andato a combattere? Avete ragione, ma vi ripeto che era mite. Chiaro, le domande restano e pesano come macigni: perché ha lasciato di punto in bianco famiglia, parenti e amici? A quale voce ha prestato ascolto, e fede? E ancora: Giovanni Asperti si credeva Rambo o semplicemente aveva perso la testa? Io vorrei osare una terza via, meno scontata. Le cose non sono mai semplici come appaiono, scelte in apparenza inspiegabili esigono lo sforzo di superare l’ovvio e di trascurare il sorrisino beffardo degli ignavi.
Nei giorni immediatamente precedenti la sua scomparsa aveva tirato fuori dai cassetti alcune vecchie fotografie. Me ne aveva mandata una, scattata probabilmente da suo padre Piero. Siamo al passo Sella nel 1953, secondo lui qui si indovinano suo zio Beppe Chiarante, Mario Milesi, Carlo Leidi, Enzo Lauletta, Ferruccio Viviani. «Questa è UNA ELITE (proprio così, in maiuscolo), e di élites, non se ne formano ogni due per tre», mi scriveva il 27 giugno di quest’anno. E ancora: «A Bergamo tirava aria buona a quei tempi». Come a dire: bisognerebbe raccontare qualcosa di quei giovani, le loro scelte, la loro vita. A quel tempo palpitavano ideali veri e positivi, la Resistenza non era ancora confinata nei libri di storia. Di quel mondo oggi resta ben poco, tutto è sopito e spento, nemmeno il rammendo di un profumo.
Altro tassello. Aveva letto qualche mio romanzo, e mi interrogava su certi episodi rispetto ai quali mostrava una competenza da studioso. In particolare sulla Prima guerra mondiale: sapeva tutto di alcune battaglie, rievocava con facilità storie di truppe, di fanti e trincee. Anche questo è un indizio, ma andiamo oltre. Ripesco una sua recensione al mio primo romanzo, da lui letto nell’estate 2017. Tremo a rileggere questo passaggio: «E dico che l’autore è un elleno, cioè non un seguace della religione prevalente, perché lo sguardo che rivolge al passato dice senza ombra di dubbio che in quel passato vi è del buono, che vale la pena di non dimenticare. Proprio come gli elleni, cioè i seguaci degli antichi Dei, quando il mondo antico volse al tramonto».
Eccolo il punctum di Giovanni, la sua beatitudine: non va mai dimenticato quanto di buono è frutto del passato. La sua linea del Piave era anche e soprattutto il no fermo e deciso a questo nostro presente epidermico e feroce. Ancora con le sue parole: «Se dico che l’autore non è un seguace della religione prevalente, non sto riferendomi a questa o quella fede. Intendo dire che non mi sembra una persona che abbia nel presente una fiducia così assoluta da non chiedersi se per caso altrove non vi sia qualcosa che valga la pena di raccontare». Per Giovanni era indispensabile raccontare quel che vale la pena e ancor più resistere all’oblio dei valori che il nostro tempo si ostina a celebrare.
A questo punto ecco lo snodo decisivo, il salto: una resistenza degna del nome è possibile soltanto se si va oltre le belle frasi, se si ha il coraggio di testimoniare gli ideali calpestati, la Patria offesa, la memoria cancellata. In breve, di andare là dove spadroneggiano Isis e miliziani vari, di opporsi in prima persona alla logica del sopruso. Sono convinto che Giovanni abbia indossato una divisa per sentirsi libero e migliore. Già, ma la famiglia? I figli? Valgono questo sacrificio? No, per nulla. Ma negli occhi Giovanni aveva l’élite del passo Sella, i soldati in trincea, i premurosi elleni; al suo fianco, perfetta incarnazione di quei valori, il popolo curdo. Così ha creduto di dare un senso alla sua vita: non importa se l’ha trovato, importa che l’abbia cercato. Auguro ai suoi familiari di trovare le parole per incorniciare quel suo sorriso dolce, lo sguardo mite, il suo limpido e inesauribile cuore.n
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