Fatture false per 1 miliardo di euro
29 arresti, coinvolta la Bergamasca

Ha coinvolto anche la Bergamasca la maxi-operazione che ha sgominato nel Vicentino un gruppo di società - ben 180 - che hanno emesso fatture false per quasi un miliardo di euro. 29 arresti e 218 denunciati.

Risiedono nel vicentino i principali artefici della maxi frode, con un giro di fatture per operazioni inesistenti per 930 milioni di euro, scoperta dalla Guardia di Finanza di Vicenza e che ha portato all’emissione di 29 provvedimenti cautelari - 18 in carcere e 11 ai domiciliari - e a indagare a piede libero altre 218 persone, tutte italiane tranne un serbo residente da tempo a Vicenza.

I provvedimenti, oltre che in provincia di Vicenza, hanno interessato la Bergamsca, ma anche Catania, Cremona, Ragusa, Roma, Cosenza, Brindisi, Biella, Milano, Napoli, Pescara, Varese, Udine, Alessandria, Parma, Verona e Treviso. Uno dei principali indagati è di Chieti ma residente in Svizzera. Altri risiedono in Slovenia, Croazia, Gran Bretagna e Stati Uniti.

Dalle prime luci dell’alba, oltre 120 militari del Comando provinciale di Vicenza, in collaborazione con numerosi Reparti del Corpo sul territorio nazionale e con le polizie di 5 Paesi esteri,hanno dato esecuzione a 18 misure di custodia cautelare in carcere e a 11 arresti domiciliari, emessi dal Giudice delle Indagini Preliminari di Vicenza nei confronti di altrettante persone appartenenti a un’organizzazione a delinquere transnazionale dedita, almeno dal 2009, a una colossale e sistematica frode all’Iva e alla commissione di reati fallimentari.

Le indagini sono state condotte, fin dal 2013, dal Nucleo di Polizia Tributaria di Vicenza mediante un imponente sforzo investigativo, utilizzando anche speciali software d’indagine, che ha visto impegnato decine di militari in attività di intercettazione telefonica (quasi 75 mila le conversazioni ascoltate) e telematica, di perquisizioni e di pedinamenti su tutto il territorio nazionale nonchè di riscontri documentali mediante l’esecuzione di numerose verifiche fiscali, nei confronti di ben 218 indagati, tutti di nazionalità italiana (solo un denunciato è un serbo, residente da anni a Vicenza). Ne è risultato un intreccio di società (in tutto 180), sia nazionali (145, in gran parte con sede in Milano e Roma, delle quali 76 «cartiere» e 69 «filtri”/”broker», 2 quest’ultimi costituiti da 15 «filtri puri» e da 54 società invece effettivamente esistenti ed operative, nonchè dotate di una reale struttura organizzativa e di dipendenti) e di società estere (35 «conduit» di 15 Paesi comunitari: 4 in Austria, 4 a Malta, 4 in Repubblica Ceca, 4 in Slovacchia, 3 in Polonia, 2 in Belgio, 2 in Bulgaria, 2 in Croazia, 2 in Germania, 2 in Romania, 1 Cipro, 1 in Gran Bretagna, 1 in Irlanda, 1 in Lettonia e 1 nei Paesi Bassi) strumentalmente utilizzate per non versare all’Erario oltre 130 milioni di euro di Iva.

L’attività ha permesso di accertare un giro di fatture per operazioni inesistenti pari a 930 milioni di euro, relative a svariati prodotti tra i quali certamente maggior peso hanno avuto quelli prodotti hi-tech (tablet, supporti digitali e televisori); tuttavia, l’organizzazione ha diversificato trattando anche altra merce come toner per stampanti e materie prime alimentari, quali farine, zucchero e latte in polvere. Il sistema criminale ha apportato ingegnose varianti alla classica frode carosello, allo scopo di rendere più difficoltosa l’individuazione della rete di società utilizzatrici delle fatture false. La merce - che già si trovava nel territorio italiano, veniva ceduta, molto spesso solo sulla carta, in regime di reverse charge (cioè in sospensione d’imposta), a un’azienda comunitaria, la quale rivendeva (sempre in reverse charge e sempre solo mediante trasferimenti meramente cartolari) alla società «cartiera» italiana. Quest’ultima cedeva ulteriormente la merce (questa volta con IVA e «sottocosto”) a una o più società «filtro», le quali - infine - la rivendevano al beneficiario finale della frode.

Sul territorio nazionale, le operazioni di esecuzione delle misure cautelari si sono svolte, oltre che nella provincia di Vicenza (nella quale risiedono i principali artefici della frode e dove i sodali si riunivano per assumere le decisioni più importanti, quali quelle su come spartirsi i proventi dell’evasione), anche nelle province di Bergamo, Catania, Cremona, Ragusa, Roma, Cosenza, Brindisi, Biella, Milano, Napoli, Pescara, Varese, Udine, Alessandria, Parma, Verona e Treviso.

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