Donne, Bergamo e le «pensioni silenti»
«Qualche migliaio i casi senza soluzione»

L’allarme della Fnp-Cisl: riguarda in provincia circa 10 mila ex lavoratrici e contributi versati per 14 milioni di euro.

«La pensione è il compendio della vita di ogni persona. Per le donne è l’ennesima dimostrazione dell’impegno da loro profuso per incastrare le tante tessere di un puzzle: il lavoro professionale, il tempo dedicato ai figli e quello alla cura degli altri familiari, come i genitori anziani o i parenti disabili. Senza considerare poi tutte quelle situazioni in cui le donne lavorano senza essere regolarmente assicurate, solo perché è normale “dare una mano”, per esempio nel negozio o nell’azienda di famiglia. Situazioni queste che, soprattutto in passato, hanno determinato il cosiddetto fenomeno delle “posizioni silenti”». Maria Grazia Contino, responsabile del Coordinamento Donne Fnp-Cisl Lombardia ha tratteggiato così la situazione pensionistica femminile. Anche in provincia di Bergamo, qualche migliaio di «posizioni silenti» compone il corpo dei «pensionabili senza assegno», cioè lavoratori, ma soprattutto lavoratrici, che prima del 1996 hanno cessato il rapporto di lavoro senza aver maturato alcun diritto a pensione, regalando di fatto allo Stato tutta la contribuzione versata.

«Quello delle posizioni silenti è stato più volte definito “un vero e proprio furto” da parte dell’Inps, il quale, ancora oggi, si ostina a non quantificare e rendere noto l’effettivo numero di tali posizioni attualmente giacenti presso l’Istituto previdenziale – sostiene Stefano De Iacobis, coordinatore dipartimento politiche Previdenziali di Fnp-Cisl –. Nel 2013, l’allora Direttore Generale dell’Inps dichiarò che i lavoratori interessati erano diversi milioni e che se l’Istituto avesse dovuto restituire i contributi silenti, avrebbe rischiato il default. Alcune fonti di stampa quantificarono l’impatto in circa 10 miliardi di euro da restituire spalmati su una platea di circa 7 milioni di cittadini».

Ancora una volta, dunque, in questa condizione si trovano moltissime donne, ovvero quelle dall’attività lavorativa più incostante e frammentata. «Pensiamo a tutte quelle donne che, rientrando nel sistema misto, hanno interrotto, per una serie di ragioni, la propria attività lavorativa versando pochi contributi e che, al raggiungimento dell’età anagrafica per la vecchiaia, non hanno potuto maturare, e mai lo potranno, il diritto a pensione per la mancanza dei 20 anni di contribuzione minima richiesta». Una proiezione sui dati Inps porterebbe per Bergamo a una platea di circa 10.000 ex lavoratrici per una somma di contributi versati di circa 14 milioni di euro. È il «rimprovero» lanciato da Fnp Cisl Bergamo che, nel convegno che si è tenuto martedì 12 novembre su «Lavoro, lavoro di cura e pensioni» ha proprio sollevato il velo sulla questione che per Inps e istituzioni sembra non trovare soluzioni.

Allo stato attuale, infatti, non esiste alcuna norma che riconosca tali posizioni e le valorizzi. «Non è possibile, infatti richiederne la restituzione trattandosi di una contribuzione sostanzialmente improduttiva di effetti. In poche parole, sono fondi che l’Inps ha incamerato per legge, senza dare indietro alcunché, in termini di prestazioni e senza nemmeno restituire il capitale versato», conclude De Iacobis.

Quella delle posizioni silenti è una questione «annosa» che l’organizzazione dei pensionati della Cisl ha sempre posto in evidenza nelle sue piattaforme rivendicative, in coerenza con il principio che «a contribuzione versata deve corrispondere certezza della prestazione».

«Tradizionalmente», la donna percepisce stipendi e pensioni più basse del collega maschio, si va dal -37% del dato europeo al -45% italiano. «E questo – dice Maria Grazia Contino – è il risultato di un processo che ha visto la donna per molto tempo in Italia impegnata in attività non retribuite, perché svolte in famiglia, e che non è stato riconosciuto, pagando lo scotto di un sistema familistico che non la ha mai agevolata. Per cui è chiaro che nel momento in cui si è arrivati a un sistema pensionistico basato esclusivamente sul contributivo come oggi, si sente la mancanza di una diversa policy per il previdenziale e per il sistema di welfare. Senza integrazioni di politiche di welfare, di politiche familiari, per il mercato del lavoro e del reddito, le donne saranno sempre più povere e avranno sempre retribuzioni pensionistiche molto basse».

Lo specchio di questa situazione lo da l’Inps: a Bergamo l’83% delle pensioni femminili è sotto i 1.000 euro, sopra a questa cifra, invece, il 63% di quelle maschili.

«Riteniamo che non sia più rinviabile la necessità di affrontare seriamente questo problema, al di là degli slogan e dei titoli che ogni anno puntualmente si ripropongono in sede di rivendicazione – dice Caterina Delasa, segretaria generale di Cisl-Fnp Bergamo –: bisogna infatti individuare insieme al Governo delle misure che consentano il recupero di tutte quelle posizioni iscritte all’Inps che hanno versato contributi senza tuttavia raggiungere i requisiti minimi previsti dalla legge per andare in pensione. Anche per questo che il sindacato dei pensionati scenderà in piazza il 16 novembre prossimo per manifestare e denunciare i propri diritti anche in termini di parità e pari opportunità nel lavoro, nella progressione di carriera, nelle retribuzioni ed infine nella pensione».

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