Daniela, dalla depressione alla «Speranza»
Attraverso il cammino di Santiago

Daniela Agazzi, in un libro la sua storia di donna 34enne caduta in depressione e che si è ritrovata sul Cammino di Santiago e si è tatuata la «Speranza» su un braccio. In un

«Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola – scriveva Emily Dickinson –. A volte ne scrivo una e la guardo fino a quando non comincia a splendere». Naturale per una poetessa come lei, meno scontato nella vita di tutti i giorni, e forse Daniela Agazzi, 34 anni, non ci aveva pensato quando si è fatta tatuare «Speranza» sul braccio sinistro. Non si aspettava di certo che quella parola incominciasse a splendere illuminandole la vita. Eppure è stato proprio così, quelle otto lettere impresse sulla pelle hanno cambiato il suo sguardo sul mondo, l’hanno condotta sul cammino di Santiago di Compostela, l’hanno aiutata a medicare le ferite profonde che aveva nell’anima e a sconfiggere la depressione. Ora «Speranza» è anche il titolo del libro in cui racconta la sua storia.

Da piccola vittima di bullismo

Daniela ha dovuto fare pace con un passato difficile, segnato dal bullismo, dalla solitudine, da un’invincibile tristezza, in cui si dibatteva come un bruco nel bozzolo quando ancora non sa che diventerà farfalla. «Sono stata una bambina timida e cicciottella – racconta –, mi prendevano in giro e non avevo amici. Era come se fossi invisibile. Se cercavo di partecipare ai giochi mi cacciavano via. A un certo punto ho smesso di uscire, restavo a casa a studiare e mi consolavo con il cibo. Così continuavo a ingrassare».

Durante l’adolescenza la situazione non è migliorata: «La mia è una famiglia normale, senza grandi possibilità economiche, e io sono l’ultima di tre figli, nonostante questo i miei genitori mi hanno dato fiducia, desideravo frequentare il liceo artistico e mi hanno accontentata. Lo studio è stata una parte importantissima della mia vita e per cinque anni mi sono concentrata solo su quello, e nei weekend lavoravo in una pizzeria da asporto. I miei si aspettavano che mi trovassi un impiego subito dopo il diploma, purtroppo però mi sono accorta che non era affatto facile. Mi sono adattata a fare i turni in fabbrica come operaia, ho cambiato molti lavori, tutti precari, ho accettato qualsiasi possibilità mi venisse offerta».

«Mi sentivo già vecchia a 20 anni»

Daniela in quel periodo, nonostante i suoi vent’anni, si sentiva già vecchia, con il peso del mondo sulle spalle: «È stato un periodo molto difficile, perché non vedevo nulla di bello nel mio futuro, ormai temevo che non sarei riuscita a realizzare nessuno dei miei sogni».

Ha cercato di reagire come poteva: studiando. «Mi sono iscritta a un corso professionale di grafica della Regione – osserva –. Frequentandolo ho incontrato una studentessa dell’università di Bergamo, parlando con lei mi sono informata bene sui corsi e alla fine ho deciso di iscrivermi anch’io alla facoltà di Comunicazione e editoria in Città Alta. Non volevo pesare sulla mia famiglia, perciò ho sempre lavorato e mi sono pagata gli studi. In tutti quegli anni ho dovuto impegnarmi molto per smontare i pregiudizi dei miei genitori, perché loro pensavano che il mio impegno e tutti quegli esami fossero soltanto una perdita di tempo».

L’università e il coro Anghelion

Negli anni dell’università Daniela ha incominciato a frequentare il coro Gospel Anghelion di Nembro, che l’ha aiutata anche a riavvicinarsi alla fede: «Dopo gli anni trascorsi all’oratorio mi ero allontanata dalla parrocchia. Mi facevo tante domande su di me e sulla mia vita e non riuscivo a trovare risposte». Daniela continuava a sentirsi smarrita, schiacciata dal senso di solitudine e dall’oscurità che le intorpidiva il cuore. Si è iscritta a un corso di salsa e bachata, sperando di conoscere persone nuove: «Volevo uscire dal mio solito ambiente, ma purtroppo i miei chili di troppo, la mia insicurezza e la timidezza erano come un muro che non riuscivo a superare, quando andavo nei locali a ballare nessuno mi invitava. Sembrava che il mio destino fosse sempre lo stesso, trovarmi da sola in un angolo».

Le amicizie sui social

Daniela sprofondava nella tristezza e si sfogava sui suoi profili social: «Scrivevo che avrei voluto morire, perché il mondo mi sembrava troppo ostile e non riuscivo a trovare il mio posto. Mi sentivo diversa, emarginata, e quella situazione stava diventando insopportabile». Quando ormai credeva di essere sull’orlo del burrone, qualcuno le ha teso una mano: «Mi ha contattato su Facebook un ragazzo che faceva parte del coro e mi conosceva di vista. Aveva letto i miei post, aveva capito che stavo davvero male». Più di tutto Daniela aveva bisogno di un amico: «È stato il mio angelo, in quel momento di crisi mi ha offerto il suo sostegno e così mi ha salvato. È diventato come un fratello, mi ha aiutato ad aprirmi, a superare qualcuno dei miei scogli. Grazie a lui ho avuto il coraggio di riprendere in mano la mia vita».

Il primo passo è stato prendersi cura del suo aspetto fisico: «Mi sono messa a dieta, ho cambiato ritmi e stile di vita, mi sono iscritta in palestra e in sei mesi ho perso una ventina di chili. Così ho incominciato a sentirmi più bella e più serena, più a mio agio con me stessa». Daniela si è laureata e ha trovato lavoro in un’azienda cosmetica, dove si occupa di grafica e di comunicazione, mettendo a frutto le competenze acquisite durante gli studi. Si è innamorata, ma non era il momento giusto: «Era solo un’amicizia, ma io non l’ho capito subito. Ho trascinato a lungo questo rapporto, e col tempo la situazione si è complicata, alla fine abbiamo litigato e ho scelto di allontanarmi. È stata una battuta d’arresto in un momento in cui mi sentivo ancora fragile, ne ho sofferto molto. Per qualche mese ho smesso anche di frequentare il coro».

Un altro momento buio, e intanto è arrivata l’estate: «La mia azienda chiudeva per tre settimane nel mese di agosto e io non avevo alcun programma. Non volevo restare a casa, però, perché sapevo che mi sarei trovata di nuovo prigioniera di pensieri negativi e avrei passato tutto il tempo a pulire e riordinare, invece volevo distrarmi e usare bene quella pausa. È stato allora che ho deciso di tatuarmi sul braccio quella parola, speranza, perché ne avevo tanto bisogno per guarire e per andare avanti».

Daniela ha incominciato a valutare quale tipo di vacanza fosse più adatto a lei, che partiva da sola. Si è imbattuta per caso nel Cammino di Santiago: «Quella possibilità mi ha colpito. Volevo trascorrere un po’ di tempo senza pensare a niente, cercare nuove opportunità, esplorare i miei limiti e le mie possibilità. Ho scelto un itinerario di dodici giorni; poi ho scoperto lungo la strada che l’importante non è tanto raggiungere la meta quanto il percorso». Il primo giorno è partita con grande entusiasmo, forse troppo: «Avevo scelto con attenzione il tragitto e secondo la guida era previsto un tempo di sette-otto ore, ma io l’ho terminato in cinque. Ero fiera di me stessa e mi sembrava tutto a posto, ma il giorno dopo ho incominciato ad avvertire forti dolori a una gamba. Ho sperato che passasse, sono andata avanti lo stesso, ma zoppicavo e la situazione continuava a peggiorare. Ho proseguito ancora per qualche giorno, poi fortunatamente un pellegrino spagnolo conosciuto lungo la strada mi ha accompagnata al Pronto soccorso, dove mi hanno diagnosticato una tendinite e mi hanno spiegato che avrei dovuto fermarmi per non compromettere la mobilità del ginocchio». Daniela, confusa e dolorante, si è fermata per una giornata per riflettere su come procedere: «Non volevo arrendermi, portare a termine il mio programma era troppo importante, era un impegno e una sfida con me stessa. Sono entrata per caso in una chiesa accanto all’ostello e ho scoperto che era dedicata proprio alla Madonna della speranza. Mi è sembrato che fosse un segno, ci ho pensato, ho deciso di andare fino in fondo cercando di sopportare il dolore. Alla fine sono riuscita a percorrere i 215 chilometri che avevo previsto».

In cammino

Sul Cammino di Santiago, Daniela ha conosciuto tante persone, ognuna con la sua storia e con le sue motivazioni. «Mi ha colpito la storia di un ragazzo che si era tuffato in mare, era caduto malamente sugli scogli e si era salvato per miracolo. Per ricomporre tutte le fratture che si era procurato aveva subito diversi interventi e l’avevano riempito di chiodi. Lo raccontava scherzando, diceva che ormai era diventato bionico. Lui era lì per dimostrare a se stesso e a gli altri che gli ostacoli devono essere superati, che niente può fermarti se la tua volontà è abbastanza forte, neanche un infortunio come il suo. Ho imparato molto da lui, quel viaggio mi ha trasformata, mi ha rafforzata. Quando sono tornata a casa ero cambiata non solo fisicamente ma anche interiormente. Ho ricominciato con nuovo slancio il corso di danza, mi sentivo più sicura e non restavo più in un angolo».

Il libro della resilienza

Daniela ha conosciuto nuove persone come desiderava, compreso Ivo, un ragazzo speciale, e questa volta ha capito che era la persona giusta: «Mi ha contattato sui social, perché avevamo in comune l’hobby della fotografia, ora stiamo insieme da due anni». L’idea di scrivere un libro è nata quasi per caso: «Ho raccolto pagine di diario, pensieri, riflessioni, e intorno ad esse ho costruito il mio racconto. All’inizio ho stampato questi materiali come dono per un conoscente che soffriva di una grave depressione. Ho pensato che condividere la mia esperienza potesse essere utile anche a lui. Ne è rimasto molto colpito, mi ha detto che l’ha aiutato molto, mi ha consigliato di pubblicarlo. All’inizio ero un po’ dubbiosa, poi ho deciso di buttarmi anche in questa avventura, un’altra prova di coraggio per me, e mi auguro che possa diventare un messaggio positivo per altre persone che attraversano un momento difficile».

Così a ogni passo, a ogni nuova conquista quella parola tatuata sul braccio continua a ricordare a Daniela che, come scrive Enzo Bianchi: «Speranza significa anche osare di vivere in un altro modo».

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