Caso Lega, Carrara: «Ora basta,
difendo i miei 1.000 dipendenti»

La caccia ai fondi della Lega da parte della magistratura sta seguendo una traccia bergamasca. E si incrocia con l’indagine della Guardia di Finanza sull’acquisto della sede regionale lombarda di Film Commission che ha portato ai domiciliari i due commercialisti bergamaschi di riferimento del Carroccio, Andrea Manzoni e Alberto di Rubba, e Francesco Barachetti, titolare di un’impresa di costruzioni in Val Seriana, legato da molti intrecci economici con i due professionisti. Nella complicata trama di passaggi finanziari e societari, tra le maglie dell’indagine è emerso anche il nome dell’imprenditore Marzio Carrara, azionista di maggioranza e amministratore delegato della Boost Spa, che però non è indagato e al quale non viene contestato nulla. Proprio per questo motivo l’imprenditore ha scritto ai giornali per fare chiarezza.

«Svolgo l’attività di imprenditore, nel campo della stampa e in quello immobiliare, operando da oltre 25 anni principalmente nel territorio bergamasco, con società direttamente riconducibili alla mia persona e spendendo sempre il mio nome quale legale rappresentante delle stesse. Tutte le mie iniziative imprenditoriali, incluse quelle citate sui giornali e che vedono coinvolti soggetti oggi sottoposti a indagini da parte della magistratura, sono assolutamente lecite e sono state condotte con la massima trasparenza. Prova ne è che tutti gli atti sono facilmente reperibili attraverso i pubblici registri».

Il nome di Carrara è stato accostato a Di Rubba e a Barachetti per rapporti di lavoro e di affari, il primo per la gestione di società e il secondo per la vendita e ristrutturazioni di immobili. «Non nego di aver avuto rapporti con queste persone, ma non appena appreso della vastità delle indagini in corso, anche per tutelare la mia azienda e i suoi dipendenti, ho deciso di tagliare ogni relazione con i soggetti coinvolti con cui avevo rapporti, in attesa che gli stessi chiariscano la loro posizione con la magistratura.

Inoltre, non ho mai avuto alcun rapporto di conto corrente né personale né aziendale presso la filiale Ubi di Seriate. Men che meno ho mai avuto rapporti confidenziali con il signor Ghilardi (accusato di aver coperto i trasferimenti sospetti di denaro di Manzoni e Di Rubba, ndr)». Nelle ricostruzioni di questi giorni Carrara ha dovuto fare i conti anche con gli accostamenti che sono stati fatti tra i rapporti con Di Rubba e la crescita esponenziale delle sue attività imprenditoriali. «Ma è solamente il frutto del lavoro di una vita e di alcune operazioni di compravendita di partecipazioni rivelatesi di successo, e, ancora una volta, facilmente individuabili attraverso l’esame degli atti depositati presso i pubblici registri.

Ciò che oggi mi sta più a cuore sottolineare è che proprio la crescita esponenziale del mio gruppo mi ha portato oggi ad acquistare nel maggio del 2018 da una situazione di fatto pre-fallimentare la Boost Spa (in precedenza, Lediberg), che ha oltre 1.000 dipendenti e che ha la necessità di portare avanti un complesso processo di ristrutturazione aziendale». Carrara non ci sta, visto l’elevato numero di lavoratori alle sue dipendenze, all’accostamento del suo nome alle indagini. «Chi lo fa, si prende la responsabilità delle conseguenze, perché nelle indagini io non sono coinvolto, se non come controparte in alcune operazioni poste in essere da alcuni degli indagati. Il rischio è di danneggiare irrimediabilmente il lavoro di ristrutturazione che stiamo facendo per la Boost. Tra l’altro questa assurda situazione va a sommarsi a un periodo già difficile da un punto di vista economico per via dell’emergenza Covid. Noi abbiamo comunque deciso di anticipare la cassa integrazione in favore dei dipendenti: un gesto che ha comportato un’importante uscita di cassa di cui hanno beneficiato tutti i nostri dipendenti e le loro famiglie. È per loro che mi oppongo a ogni accostamento del mio nome e della mia società alle indagini penali in corso sul fronte leghista».

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