«Cara figlia mia, quando crescerai
ti racconterò solo di chi fece il bene»

«Mi chiedo cosa ti ricorderai di tutto questo, non so come potrò integrare responsabilmente quei tuoi frammenti, cosa sia giusto e di cosa sia sbagliato raccontarti quando tutto questo sarà finito, perché finirà. Ci ho pensato tanto, piccola mia». Una lettera di un bergamasco alla sua bambina.

«È notte fonda e di dormire non se ne parla. Allora mi alzo, passo davanti alla scritta Annalù che ti ha regalato la zia R. quando sei nata, è appesa sulla porta della cameretta ed inizio a sistemare i tuoi giocattoli sparsi per casa, ci sono pezzi di puzzle mamma-cuccioli-pappa, una Barbie senza gambe, «Carlotta» il tuo orsetto rosa con le lucine, le chiavi della macchina di mamma (che abbiamo già perso più volte), pezzetti appuntiti di un gioco in plastica che se non stai attento ti si conficcano sotto la pianta del piede, nascosti in posti che solo l’immaginazione, la fantasia e la spensieratezza dei tuoi due anni possono concepire. Mi domando cosa capisci di questa situazione, di questa emergenza, di questo fottuto coronavirus (lo so non si dicono le parolacce, ma quando ci vuole ci vuole), oggi ci hai detto, con quella vocina che amiamo tanto e a parole tue che sei «tritte pecché non puoi andae all’ascilo» e che ti mancano tatto «Eva, Michea, Scimone e la maestra Laua, che ti dippiace che i nonni siano tonnati in Siciia» e per la centesima volta ci hai chiesto «andiamo Antonniioo?».

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