Cronaca / Bergamo Città
Mercoledì 01 Aprile 2020
Calano i morti, ma ancora limitazioni
Conte: ritorno graduale al lavoro
Con la curva dei contagi che resta ferma sul «plateau» indicato dagli scienziati e l’incremento del numero delle vittime che si è dimezzato in una settimana, il governo prolunga la serrata dell’Italia fino al 13 aprile, il giorno di Pasquetta.
«Non bisogna abbassare la guardia» ripetono sia il premier Giuseppe Conte sia il ministro della Salute Roberto Speranza sapendo bene qual è l’indicazione che arriva dagli esperti: mantenere rigide le misure di contenimento e il distanziamento sociale per evitare che i risultati ottenuti vengano vanificati e il virus riprenda la sua folle corsa, soprattutto nelle regioni del Sud. Insomma, gli italiani si scordino le scampagnate di Pasqua e Pasquetta, come dice il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli. «Andare fuori? Assolutamente no. Dobbiamo stare ancora a casa».
Il nuovo decreto del presidente del Consiglio, che sarà in vigore dal 4 aprile alla scadenza dei precedenti provvedimenti, conferma dunque tutte le misure già in atto, dalle limitazioni agli spostamenti alla chiusura delle attività non essenziali. E prevede una ulteriore stretta per tutti gli sportivi. Nella bozza, che è ancora suscettibile di modifiche, è scritto che a partire da sabato «sono sospesi gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati» e «sono sospese le sedute di allenamento degli atleti, professionisti e non professionisti, all’interno degli impianti sportivi di ogni tipo».
Dal Comitato tecnico scientifico arriva poi un’ulteriore precisazione sul tema delle «passeggiate» per i bambini, con gli esperti a ribadire che nulla cambia rispetto a prima e che si deve rimanere in casa. «Se si esce con un bambino rispettando le norme, per un motivo preciso e previsto dai decreti, si può fare - dice il presidente della Società italiana pediatria Alberto Villani -. Ma non c’è alcun motivo per portare a spasso un bambino in carrozzina, non va fatto e può essere imprudente. Dunque tutto resta esattamente com’è».
Il perché lo ha spiegato Speranza al Senato. «Attenzione ai facili ottimismi che possono vanificare i sacrifici fatti: non dobbiamo confondere i primi segnali positivi con un segnale di cessato allarme. La battaglia - ha affermato il ministro della Salute - è ancora molto lunga e sbagliare i tempi o anticipare le misure sarebbe vanificare tutto». Chi sperava dunque in qualche apertura da parte del governo - le aziende soprattutto - dovrà attendere almeno il 13 aprile. A meno che nei prossimi giorni una rapida discesa dei numeri, allo stato non ipotizzata da nessun esperto, possa far rivedere le limitazioni. Lo stesso Conte, smentendo che è già deciso un prolungamento ulteriore delle misure fino al 3 maggio, è stato però chiaro su quale sarà il percorso da seguire. «Non dobbiamo abbassare la guardia.Dobbiamo programmare un ritorno alla normalità che deve essere fatto con gradualità e deve consentire a tutti, in prospettiva, di tornare a lavorare in sicurezza». Significa che queste due settimane serviranno per capire cosa riaprire, con che modalità consentire la ripresa di alcune attività, quali spazi di libertà riconsegnare ai cittadini. I dati d’altronde giustificano un cauto ottimismo ma non consentono affatto di considerare attenuata l’emergenza».
La curva del contagio continua a rallentare, tanto che rispetto ad una settimana fa l’incremento totale dei contagiati è passato dal 7,53 al 4,52% e quello degli attuali positivi dal 6,28% al 3,78%. Un discorso che vale anche per le terapie intensive e per le vittime: l’incremento delle prime è sceso dal 2,74% allo 0,30% e quello dei morti da 10,01% a 5,85%. Ma i numeri assoluti restano comunque impressionanti: 80.572 persone attualmente malate, di cui oltre 28mila in ospedale, 4.035 nelle terapie intensive, 13.155 vittime, con un incremento in un solo giorno di altre 727 persone. E se non bastasse ci sono anche i dati dell’Istat a confermare le dimensioni della catastrofe: a marzo, dice l’Istituto di statistica, sono raddoppiati i decessi al nord rispetto alla media 2015-2019; a Bergamo l’incremento è del 337%; a Brescia, Piacenza e Pesaro oltre il 200%.
Bisogna dunque continuare con le misure e con i sacrifici, per evitare la saturazione degli ospedali e delle terapie intensive. E per impedire che il contagio arrivi in maniera massiccia al sud, che è la vera paura di tutti gli esperti in questo momento poiché se dovesse avverarsi uno scenario simile le strutture sanitarie non reggerebbero l’urto.
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