Alzano, indagine su ospedale e zona rossa
I Nas in ospedale per acquisire i tamponi

Carabinieri del Nas nella sede dell’Asst di Seriate per acquisire i tamponi dei pazienti. Epidemia colposa il reato ipotizzato, nessun indagato

È un’inchiesta che parte dai primi contagi all’ospedale Pesenti-Fenaroli di Alzano, ma che potrebbe portare lontano, fino alla mancata istituzione della zona rossa che in queste ore vede Regione e Governo rimpallarsi le responsabilità. «Un’indagine a 360 gradi – ribadisce il procuratore facente funzioni Maria Cristina Rota -, volta a capire se ci sono responsabilità in ordine alla diffusione del virus». Dunque, non è escluso che si possa a un certo punto passare dal livello sanitario a quello politico, con tutti i paletti che questo potrebbe comportare (competenze territoriali e giurisdizionali, nello specifico).

Intanto c’è questo fascicolo iscritto a carico di ignoti per epidemia colposa, aperto dalla Procura di Bergamo nei giorni scorsi e nel quale ricade la visita che i carabinieri del Nas di Brescia hanno fatto negli uffici direzionali dell’ospedale di Alzano e in quelli dell’Asst Bergamo Est cui fa capo il Pesenti-Fenaroli. È qui, al Bolognini di Seriate, che da lunedì sono in corso acquisizioni di documentazione: in particolare, la lista delle persone sottoposte a tampone (e i relativi esiti) dal 23 febbraio, quando – proprio all’ospedale di Alzano – emersero i primi casi di Covid-19 in Bergamasca, fino a oggi; ma anche i protocolli di intervento diramati da ministero della Salute e Regione. Dal Pesenti-Fenaroli i militari finora non hanno portato via nulla, ma non è escluso che tornino nelle prossime ore per acquisire le cartelle cliniche di alcuni pazienti.

L’obiettivo di questa prima tranche d’inchiesta, che il procuratore facente funzioni Rota annuncia lunga e complessa, ha come scopo di stabilire che cosa accadde nei giorni a ridosso del 23 febbraio e se furono seguite le procedure corrette. Il fascicolo è stato aperto su iniziativa della Procura grazie a notizie comparse su stampa e tv e a qualche segnalazione anonima. All’inizio era di tipo esplorativo (modello 45, senza ipotesi di reato né indagati), poi, dopo la presentazione di un esposto da parte di un cittadino, è passato a modello 44, e cioè senza indagati, ma con l’ipotesi di epidemia colposa.

Covid-19, c’è un pool di pm

Rota sul Covid-19 ha creato un pool: con lei ci sono due sostituti, a cui è cointestata l’inchiesta, ma che sono pure incaricati di occuparsi di tutti i casi che da qui in avanti verranno segnalati in piazza Dante da forze dell’ordine e da esposti o querele. Dunque, quello dell’ospedale di Alzano sarà il filone principale di un’inchiesta che potrebbe risultare articolata e allargarsi ad altre zone della Bergamasca. Di carne al fuoco ce ne potrebbe infatti essere parecchia, basti pensare che molti degli abitanti di Alzano e dei paesi limitrofi che hanno perso i propri cari si stanno muovendo per costituire un comitato.

Che quella domenica 23 febbraio al Pesenti-Fenaroli scoppi il caos lo ritengono in molti. Dopo la scoperta dei primi due pazienti positivi, transitati per il reparto di chirurgia e il pronto soccorso, quest’ultimo viene chiuso nel primo pomeriggio e riaperto in serata. Secondo un uomo di Villa di Serio, Francesco Zambonelli, che ha perso la madre e il padre, alcuni pazienti dell’ospedale avrebbero accusato i sintomi del Covid-19 già prima della scoperta del paziente 1 a Codogno il 20 febbraio. Da qualche giorno, fa notare Zambonelli, le infermiere si aggiravano con la mascherina, cosa mai successa prima. E allora, si chiede, se l’ospedale sapeva dei rischi, perché non ha avvisato pure i pazienti e i loro parenti?

E la sanificazione dei locali fu effettuata? L’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera, cui ieri l’Asst Bergamo Est ha inviato una prima relazione sull’accaduto, a Radio 24 ha spiegato come sia falsa la ricostruzione secondo la quale «dopo il primo contagiato il pronto soccorso non è stato sanificato prima della riapertura». Qualche settimana fa in una lettera ai giornali due dipendenti del Pesenti-Fenaroli avevano invece descritto una situazione totalmente diversa, in cui si sottolineava la mancata sanificazione prima della riapertura del pronto soccorso e il mancato allestimento di un triage verso cui far affluire i contagiati.

L’Asst del Bolognini preferisce non commentare la vicenda.

La mancata zona rossa

Un altro filone portante dell’inchiesta in futuro potrebbe essere quello della zona rossa tra Alzano e Nembro, la cui istituzione avrebbe potuto contenere il contagio. Ai primi di marzo sembrava imminente, 300 militari dell’Esercito erano stati fatti confluire a Zingonia, pronti a intervenire per isolare i due paesi come accadde a Codogno e negli altri comuni lodigiani della prima vera e unica zona rossa di questa emergenza. A chi spettava prendere la decisione? Secondo il Governo alla Regione, secondo quest’ultima a Palazzo Chigi. L’assessore Gallera nelle ultime ore ha riconosciuto «che effettivamente c’è una legge che ci consente di intervenire, ma eravamo convinti che stesse per farlo il governo».

E ieri ha fatto sentire la sua voce anche il virologo Massimo Galli, direttore dell’Istituto di scienze biomediche dell’ospedale Sacco di Milano, per il quale «è veramente indegno e inaccettabile che i medici di Alzano e di Codogno finiscano per fare i capri espiatori».

Insomma, l’inchiesta della magistratura bergamasca si prospetta «molto delicata», come da chiosa di Maria Cristina Rota: «Per questo va condotta con il massimo della serenità e riservatezza e nel rispetto, da un lato, delle vittime e dei loro familiari, e dall’altro degli operatori sanitari, medici e paramedici, categorie che in questo momento stanno dando il massimo e che contano tra le loro fila non pochi decessi».

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