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Martedì 08 Novembre 2011
Cav si dimette e 'vede' urne. Ma non esclude governo suo uomo
Cav si dimette e 'vede' urne. Ma non esclude governo suo uomo Premier amareggiato da traditori.Resta trattativa su Letta-Alfano
Roma, 8 nov. (TMNews) - La cattiva notizia è che alla fine è stato costretto a pronunciare la parola "dimissioni". Quella buona è che non lascerà Palazzo Chigi entro venerdì, come pronosticavano molti osservatori: anche a voler essere rapidissimi, il ddl Stabilità richiede non meno di un paio di settimane per essere approvato e di certo la strada per un governo Monti diventa parecchio più impervia. Silvio Berlusconi ha trascorso il giorno del giudizio avvertito che lo tsunami sarebbe arrivato. Solo, non pensava sarebbe stato così devastante e con effetti quasi immediati sulla sua poltrona di Palazzo Chigi. Nella bilancia delle sensazioni, prevale però uno sconforto cupo, un misto di tristezza e un pizzico di rabbia che altre volte già aveva abbattuto il suo morale. Eppure, giura più di qualcuno, accanto alla strada delle urne, il presidente del Consiglio starebbe ragionando in queste ore anche sulla possibilità di riproporre Gianni Letta o un altro fedelissimo - non solo in chiave tattica - in grado di garantirlo per la guida del governo.Per ora l'obiettivo è tirare a campare, accelerando ma non troppo sul ddl stabilità, spendendosi per evitare soluzioni a lui sgradite come quella di un governo non in grado di offrire le garanzie sperate. Fra i pasdaran del voto già circola una nuova data per elezioni anticipate, visto che fine gennaio diventa impercorribile causa ddl stabilità: il 19-20 febbraio. E però una consistente fetta di Pdl chiede ancora al presidente del Consiglio di accettare un passo indietro per evitare un bagno di sangue nelle urne.L'amaro in bocca, quella sensazione di fine impero naturalmente lo disturba e lo butta giù. Più di tutto ad averlo amareggiato è stata la sensazione di tradimento. Le ultime dodici ore, per il Cavaliere, sono trascorse fra tabelle di dissidenti e recriminazioni per quello che poteva essere e non è stato. La mattina Stracquadanio e Bertolini, poi Bossi, quindi mezzo governo a Palazzo Chigi, infine l'intero stato maggiore pidiellin-leghista. Mille riunioni, mille recriminazioni, si diceva, innanzitutto contro "Giulio, il primo responsabile dei miei problemi: ha fatto di tutto per farmi cadere, è stato peggio di Fini". Ma anche contro "Umberto, che è fedele ma ha concesso troppo a Giulio". E poi i conti, una somma algebrica che non torna perché 'quota trecentosedici' resta lontana, la fatwa contro quei "traditori" messi nero su bianco mentre siede fra i banchi del governo alla Camera. Tutto accompagnato da quella sorta di tic, quel serrare la mascella che riserva per i momenti più difficili, sotto l'occhio impietoso di obiettivi così potenti da svelare gli appunti che avrebbe portato con sé al Quirinale.Davanti a Giorgio Napolitano Berlusconi arriva consapevole che sarebbe meglio evitare la conta alla Camera, ma con in mente quanto ancora una volta i fedelissimi gli avevano ripetuto poco prima: "L'esperienza di questo governo è finita, se si vota vai sotto". E così, davanti al Capo dello Stato, Berlusconi non esclude il voto anticipato, l'importante è evitare il ribaltone. Non che ci sia una preclusione assoluta su Monti, sul quale il premier da giorni chiede informazioni. Ma il "nodo è tutto politico" e alla fine tornare alle urne potrebbe essere per il premier in carica il minore dei mali. Certo meglio che sostenere un governo Monti. E poi ci sono almeno due settimane per trattare, ricostruire rapporti lacerati, insomma per vendere cara la pelle. Pochi rispetto a quanto ha chiesto Berlusconi al Colle, ma comunque utili per ragionare sul da farsi.La linea Berlusconi prova a dettarla 'invadendo' i tg della sera. Il mantra è sempre lo stesso, "io o elezioni", anche se alla fine deciderà il capo dello Stato. Un modo per serrare i ranghi, evitare che tutto possa disgregarsi e anzi blindare le urne. Poi, se dovesse farsi spazio una soluzione diversa, il Cavaliere giocherà comunque fino in fondo la partita della trattativa.
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