Pmi italiane troppo esposte al rischio imitazioni da Cina

BRUXELLES - "L'Italia, avendo bisogno di investimenti, dialoga da una posizione di debolezza con la Cina sulla proprietà intellettuale e lo stesso succede su questioni nodali come il 5g e Huawei". E' quanto sostiene Giacomo Bandini, direttore del think tank Competere, e ricercatore di storia economica presso l'Università La Sapienza, in un'intervista all'ANSA in cui sottolinea anche i pericoli che questo comporta soprattutto per le Pmi italiane. "Gli Stati Uniti, negli accordi commerciali con la Cina, fanno della proprietà intellettuale il loro cavallo di battaglia", sottolinea Bandini. L'Italia finora non ha percorso questa strada e questo potrebbe portare a un maggiore afflusso di prodotti contraffatti a danno del made in Italy". Bandini ha pubblicato recentemente un rapporto sulla 'via della seta' e gli effetti dei prodotti contraffatti provenienti dalla Cina diffuso con l'indice internazionale sulla proprietà intellettuale dell'International Alliance for Property Rights.

Innegabili, secondo l'esperto, gli effetti positivi dei partenariati commerciali sull'economia e gli investimenti: "Più commercio con la Cina si traduce in export e beneficio economico. Ma aprire così tanto a un Paese senza porre regole sulla proprietà intellettuale - avverte - può portare a raddoppiare il flusso di prodotti contraffatti verso il nostro Paese". Il rischio di una mancata tutela dell'originalità potrebbe colpire soprattutto le piccole e medie imprese che rappresentano il tessuto economico del Paese. "Spesso non hanno la capacità di difendersi per le dimensioni ridotte - osserva Bandini - o perché non hanno la disponibilità a investire nella difesa della proprietà intellettuale o anche perché devono concentrare le risorse su altro".

Tra il 2014 e il 2016, secondo dati Ocse, in Italia l'industria manifatturiera dell'abbigliamento, delle calzature e dei prodotti in pelle, ha subito le perdite più elevate (3,8 miliardi), seguita dai settori alimentare, bevande e tabacco (3,2 miliardi) e delle apparecchiature elettriche ed elettroniche, dei prodotti ottici, degli strumenti scientifici (3,1 miliardi).In questo contesto, secondo il ricercatore, il Memorandum d'intesa tra l'Italia e la Cina sottoscritto dal primo governo Conte risulta poco efficace.

"C'è solo un accenno generico alla difesa della proprietà intellettuale e il rischio è che il nostro Paese finisca per fare da ponte per l'espansione della Cina sul mercato europeo senza controlli adeguati sulla contraffazione". Stando ai dati della Fondazione Italia-Cina, le società e gli istituti finanziari cinesi hanno già investito in oltre 600 imprese italiane negli ultimi due decenni, per un totale di circa 13,7 miliardi di euro, rendendo la Cina un'importante sostenitrice dell'economia italiana. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA