Draghi: "Serve un vero mercato energetico europeo. Sfide di oggi chiedono cooperazione inedita"

BRUXELLES - "Dobbiamo ridurre prima di tutto il prezzo dell'energia e costruire un vero mercato per aumentare la produttività del continente: abbiamo regole di mercato che non disaccoppiano nettamente il prezzo delle rinnovabili e nucleare dai prezzi più alti e più volatili dei combustibili fossili, impedendo a industrie e famiglie di cogliere appieno i benefici dell'energia pulita nelle loro bollette". Lo ha detto Mario Draghi intervenendo al Monastero di San Jeronimo de Yuste in Estremadura, dove ha ricevuto dal re Felipe VI di Spagna il Premio Europeo Carlos V.

"Non vogliamo diventare protezionisti in Europa, ma non possiamo rimanere passivi se le azioni degli altri minacciano la nostra prosperità", ha detto citando "le recenti decisioni degli Stati Uniti di imporre tariffe alla Cina", che "hanno implicazioni per la nostra economia attraverso il riorientamento delle esportazioni". "La sfida che dobbiamo affrontare è che, rispetto agli Stati Uniti, siamo più vulnerabili sia all'inazione sul commercio che alle ritorsioni", ha sottolineato.

"Il mantenimento di alti livelli di protezione sociale e di ridistribuzione non è negoziabile, la lotta all'esclusione sociale sarà fondamentale non solo per preservare i valori di equità sociale della nostra Unione, ma anche per far sì che il nostro viaggio verso una società più tecnologica abbia successo", ha continuato. "Queste decisioni richiedono un grado ancora inedito di cooperazione e coordinamento tra gli Stati membri dell'Unione Europea", ha aggiunto. Oggi, ha aggiunto, "questo passo appare scoraggiante, ma sono fiducioso che abbiamo la determinazione, la responsabilità e la solidarietà per affrontarlo, per difendere la nostra occupazione, il nostro clima, i nostri valori di equità e inclusione sociale e la nostra indipendenza", ha concluso Draghi.

"La prima risposta europea al cambiamento delle regole del commercio mondiale dovrebbe essere quella di cercare di riparare il più possibile i danni all'ordine commerciale multilaterale, incoraggiando tutti i partner disposti a impegnarsi nuovamente per un commercio basato sulle regole", ha sottolineato ancora. "La seconda risposta dovrebbe essere quella di incoraggiare gli investimenti esteri diretti, in modo che i posti di lavoro nel settore manifatturiero rimangano in Europa", ha proseguito ancora. "La terza risposta dovrebbe essere l'utilizzo di sussidi e tariffe per compensare gli ingiusti vantaggi creati dalle politiche industriali e dalle svalutazioni dei tassi di cambio reali all'estero, ma se intraprendiamo questa strada, deve essere nell'ambito di un approccio generale pragmatico, cauto e coerente", ha aggiunto.

Parlando della relazione sulla Competitività per cui è stato incaricato dalla Commissione ha detto che la proposta per la politica industriale del futuro "mirerà soprattutto ad aumentare la produttività, a preservare la competitività delle nostre industrie nel mondo e la concorrenza all'interno dell'Europa, alla decarbonizzazione della nostra economia, in modo da ridurre i prezzi dell'energia e aumentare la sicurezza energetica". "L'obiettivo è quello di riorientare la nostra economia in un mondo meno stabile, in particolare sviluppando una capacità industriale di difesa e una politica commerciale all'altezza delle nostre esigenze geopolitiche, riducendo al contempo le dipendenze geopolitiche da Paesi su cui non possiamo più contare", ha sottolineato ancora.

"La crescita della produttività europea sta rallentando da tempo: dall'inizio degli anni 2000, il Pil pro capite a Ppa (cioè aggiustato per i prezzi interni) è stato inferiore di circa un terzo rispetto a quello degli Stati Uniti, e circa il 70% di questo divario è spiegato dalla minore produttività", ha affermato. "La differenza di crescita della produttività tra le due economie è dovuta principalmente al settore tecnologico e alla digitalizzazione in generale, se escludessimo il settore tecnologico, la crescita della produttività dell'Ue negli ultimi vent'anni sarebbe pari a quella degli Stati Uniti", ha ricordato l'ex premier italiano. "Ma il divario potrebbe aumentare ulteriormente con il rapido sviluppo e la diffusione dell'intelligenza artificiale. Circa il 70% dei modelli fondamentali di intelligenza artificiale viene sviluppato negli Stati Uniti e solo tre aziende statunitensi rappresentano il 65% del mercato globale del cloud computing: per iniziare a colmare questo divario è necessaria una serie di azioni politiche. Prima di tutto, dobbiamo ridurre il prezzo dell'energia", ha spiegato Draghi.

"Per raggiungere una dimensione di scala è necessario eliminare gli ostacoli che ancora si frappongono all'attività transfrontaliera all'interno del mercato unico, in particolare quelli che impediscono la diffusione del digitale: il cloud computing nella pubblica amministrazione deve essere disciplinato da un unico insieme di regole", ha precisato.

"La politica della concorrenza deve agevolare la scala, ponderando i criteri di innovazione e resilienza in base all'evoluzione del mercato e dei contesti geopolitici, evitando al contempo un'eccessiva concentrazione di mercato che fa aumentare i prezzi al consumo e diminuisce la qualità del servizio. Allo stesso tempo, per riqualificare la nostra forza lavoro sarà necessario rafforzare i sistemi di istruzione e formazione, incoraggiare l'apprendimento degli adulti e facilitare l'ingresso di lavoratori altamente qualificati provenienti da Paesi terzi. L'esempio della Svezia - che ha un settore tecnologico più che doppio rispetto alla media dell'Ue - dimostra che un modello sociale forte e il progresso tecnologico non solo sono compatibili, ma si auto-rinforzano quando si concentrano sulla riqualificazione e sulle competenze", ha spiegato Draghi.

"Il fabbisogno di finanziamenti per le transizioni verdi e digitali è enorme e, con uno spazio fiscale limitato in Europa sia a livello nazionale che, almeno finora, a livello europeo, dovrà essere fornito principalmente dal settore privato: pertanto, dovremo anche mobilitare il risparmio privato su una scala senza precedenti, ben al di là di quanto possa fare il settore bancario", ha insistito. Il modo principale per raccogliere i fondi necessari, secondo l'ex presidente della Bce, "sarà l'approfondimento dei mercati del capitale di rischio, delle azioni e delle obbligazioni".

"Inoltre, nei settori in cui gli investimenti pubblici hanno grandi moltiplicatori, come la spesa per le reti o per la Ricerca & Innovazione, è probabile che l'emissione di più debito pubblico si autofinanzi: la semplificazione dei progetti europei di interesse comune e l'ampliamento della loro portata ne farebbero uno strumento efficace per aumentare gli investimenti nelle aree critiche", ha rimarcato l'ex numero uno della Bce.

"Il paradigma che ci ha portato alla prosperità in passato era stato progettato per un mondo di stabilità geopolitica, il che significava che le considerazioni sulla sicurezza nazionale avevano un ruolo limitato nelle decisioni economiche, ma le relazioni geopolitiche si stanno ora deteriorando: questo cambiamento richiede che l'Europa adotti un approccio fondamentalmente diverso alla sua capacità industriale in settori strategici come la difesa, lo spazio, i minerali critici e parti di prodotti farmaceutici e richiede anche di ridurre la nostra dipendenza da Paesi di cui non possiamo più fidarci", ha proseguito.

"La prima cosa di cui abbiamo bisogno, quindi, è una valutazione comune dei rischi geopolitici che dobbiamo affrontare, condivisa dagli Stati membri e in grado di guidare la nostra risposta: poi, dovremo sviluppare una vera e propria politica economica estera che coordini gli accordi commerciali preferenziali e gli investimenti diretti con i Paesi ricchi di risorse, la costituzione di scorte in aree critiche selezionate e la creazione di partenariati industriali per garantire la catena di approvvigionamento delle tecnologie chiave", ha spiegato Draghi. "Affinché le imprese aumentino gli investimenti e la capacità produttiva, l'Europa dovrà non solo incrementare il livello della domanda attraverso una spesa più elevata, ma anche garantire che questa si concentri all'interno dei nostri confini e che venga aggregata a livello europeo", ha osservato.

Il modo più efficiente per generare questa domanda "sarebbe quello di aumentare la spesa comune europea". "Ma in assenza di un tale approccio centralizzato, possiamo ottenere molto coordinando più strettamente le politiche degli appalti pubblici e applicando requisiti più espliciti di contenuto locale per i prodotti e i componenti prodotti nell'Ue", ha sottolineato.

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