Un batterio estremo si è adattato a vivere nell'oceano aperto

Scoperto un batterio capace di vivere in condizioni estreme e che usa l'idrogeno come fonte di energia. Si chiama Sulfurimonas pluma e, sebbene provenga dalle sorgenti idrotermali che si trovano sul fondo degli oceani, si e' evoluto adattandosi all'ambiente dell'oceano aperto. La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Microbiology, è guidata dall'italiano Massimiliano Molari dell'Istituto tedesco Max Planck e aiuta a comprendere meglio l'impatto sugli oceani dei tanti microrganismi che vivono in condizioni estreme.

"Negli oceani e in particolare nei pressi delle dorsali oceaniche, ossia le catene montuose sottomarine dovute alla risalita del magma, esistono fratture da cui fuoriescono fluidi idrotermali ricchi di gas e metalli) attorno alle quali vivono microrganismi in condizioni estreme", ha detto Molari all'ANSA.

Questi microrganismi usano l'energia ricavata da zolfo e idrogeno per supportare la catena alimentare in questi che sono vere e proprie oasi di vita e biodiversita' . Inoltre i fluidi idrotermali, dalle temperature elevatissime, mescolandosi con le fredde acque marine profonde generano pennacchi che possono estendersi per migliaia di chilometri. I microrganismi che li abitano sono ancora poco noti, nonostante abbiano un ruolo chiave nel modificare sia la chimica degli oceani sia gli organismi che li abitano.

Nei campioni di acqua prelevati da alcuni pennacchi i ricercatori hanno identificato il nuovo batterio che. a differenza dei suoi parenti piu' stretti, può usare l'idrogeno come principale fonte di energia.

"Trovare batteri del genere Sulfurimonas in quell'ambiente e in tali quantita' e' stata una sorpresa", ha detto Molari. Probabilmente la nuova specie potrebbe derivare da un antenato in comune con le specie idrotermali, ma che avrebbe acquisito una maggiore tolleranza all'ossigeno permettendogli di vivere anche negli oceani, e non solo nei pressi delle sorgenti da cui fuoriescono i gas dalla crosta terrestre. "E' una scoperta che da un lato ci fa comprendere qualcosa di nuovo sulla diversita' microbica e i complessi meccanismi che avvengono negli oceani e dall'altro - ha concluso il ricercatore italiano - ci dà molte informazioni per immaginare ambienti simili che potrebbero essere presenti in altri corpi celesti, come Encelado o Europa ".

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