(ANSA) - VENEZIA, 19 NOV - Sebbene negli ultimi mesi i prezzi delle materie prime siano in calo, l'importazione di questi prodotti potrebbe costare quest'anno al sistema Paese almeno 80 miliardi di euro in più rispetto al periodo pre Covid. A dirlo è l'Ufficio studi della Cgia di Mestre (Venezia).
I prezzi dei metalli e dei minerali, ad esempio, in questi ultimi tre anni sono rincarati mediamente del 25,7%; quelli energetici sono raddoppiati (+101,3%). Va tuttavia segnalato che tra gli energetici l'aumento del prezzo del carbone è stato del 463,3% e quello del gas naturale addirittura del 671,6%. Più contenuti, invece, i rincari registrati dal ferro (+4,6%), dallo stagno (+16,8%), dallo zinco (+21%), dal nickel (+29,35), dall'alluminio (+30,7%), dal rame (+32,9%) e dal petrolio (+57,7%).
Sempre rispetto al 2019, tra le materie prime prese in esame dalla Cgia su dati della Banca Mondiale, solo il piombo ha subito una diminuzione del prezzo dell'8,4%.
L'incremento dei prezzi delle materie prime ha provocato il conseguente aumento dell'inflazione che nel nostro Paese ormai viaggia su doppia cifra, e che in particolar modo colpisce i contribuenti a reddito fisso, che subiscono una forte perdita di potere d'acquisto. "Se buona parte dei consumatori non acquista - sottolinea l'Ufficio studi - è del tutto superfluo anche produrre. Pertanto, per uscire da questo circolo vizioso non c'è che una strada da percorrere: quella della riduzione del cuneo che consenta alle busta paga di diventare più 'pesanti'".
(ANSA).
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