Batterie, Corte Conti Ue: “Europa a rischio dipendenza”

Quotidiano Energia - L’accesso alle materie prime, l’aumento dei costi e l’agguerrita concorrenza mondiale rischiano di vanificare gli sforzi della Ue per rafforzare la propria capacità produttiva di batterie. E’ l’allarme lanciato dalla Corte dei Conti europea, secondo cui “la Ue rischia di restare indietro nella corsa per diventare una superpotenza mondiale delle batterie”.

In una relazione speciale pubblicata martedì 20, i giudici contabili rilevano che, data la crescente penetrazione dei veicoli elettrici e il previsto stop nel 2035 alla vendita di auto nuove a benzina diesel, le batterie diverranno “un imperativo strategico per la Ue”, ma l’industria europea del settore “è indietro rispetto ai concorrenti mondiali, in particolare la Cina, che rappresenta oltre il 76% della capacità di produzione mondiale”.

La Commissione europea, ricorda la Corte, ha lanciato nel 2018 il piano d’azione strategico sulle batterie, settore che tra il 2014 e il 2020 ha ricevuto almeno 1,7 miliardi di euro di sovvenzioni e garanzie sui prestiti Ue, in aggiunta a quasi 6 mld € di aiuti di Stato autorizzati tra il 2019 e il 2021, principalmente in Germania, Francia e Italia. Si tratta nondimeno, stigmatizzano gli auditor, di dati incompleti, dato che l’esecutivo comunitario “non dispone di un quadro d’insieme di tutto il sostegno pubblico offerto al settore, il che ne limita la capacità di garantire un adeguato coordinamento e un sostegno mirato”.

La relazione indica che la capacità produttiva Ue di batterie si sta sviluppando rapidamente, con una potenzialità di crescita dai 44 GWh del 2020 a 1.200 GWh entro il 2030. Tuttavia, tali proiezioni “non sono affatto una certezza e potrebbero essere messe a rischio da fattori geopolitici ed economici”.

Innanzitutto, i fabbricanti di batterie potrebbero abbandonare la Ue e trasferirsi in altre regioni, non da ultimo gli Usa che offrono massicci incentivi. A differenza dell’Unione, infatti, Washington sovvenziona direttamente la produzione di minerali e batterie, nonché l’acquisto di veicoli elettrici fabbricati negli Stati Uniti utilizzando componenti americani.

In questo senso, la relazione sottolinea che gli Ipcei europei per il finanziamento dell’industria delle batterie scontano procedure lunghe e complesse (si va dai due anni della Francia ai tre anni e mezzo della Polonia) e un accesso ai fondi che varia da uno Stato membro all’altro: tre Stati membri (Germania, Francia e Italia) ricevono l’87 % e l’83% degli aiuti di Stato autorizzati, rispettivamente, per l’Ipcei Batterie e l’Ipcei EuBatIn. Non solo: “Le decisioni con cui la Commissione ha approvato gli Ipcei autorizzano gli Stati membri a concedere aiuti di Stato per gli importi previsti, ma non attribuiscono alle imprese partecipanti alcun diritto a ricevere tali aiuti né alcun obbligo agli Stati membri di stanziarli effettivamente”.

Quanto alle materie prime, nota la Corte, “la Ue dipende fortemente dalle importazioni, soprattutto da pochi Paesi con i quali non ha accordi commerciali”: l’87% di litio grezzo proviene dall’Australia, l’80% di manganese da Sud Africa e Gabon, il 68% di cobalto grezzo dal Congo e il 40% di grafite naturale grezza dalla Cina.

In secondo luogo, nota ancora la Corte, “la Ue dipende fortemente dalle importazioni di materie prime, soprattutto da pochi Paesi con i quali non ha accordi commerciali”: l’87% di litio grezzo proviene dall’Australia, l’80% di manganese da Sud Africa e Gabon, il 68% di cobalto grezzo dal Congo e il 40% di grafite naturale grezza dalla Cina.

E sebbene l’Europa disponga di riserve minerarie, tra la scoperta e la produzione servono almeno 12-16 anni ed è perciò “impossibile rispondere rapidamente all’aumento della domanda”, mentre i contratti esistenti con fornitori esteri garantiscono in genere un approvvigionamento di materie prime per soli 2 o 3 anni di produzione di batterie.

Terza criticità evidenziata dalla Corte è l’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia, che potrebbe mettere a rischio la competitività della produzione di batterie Ue: alla fine del 2020, il costo di un pacco batterie (200 € per kWh) era più che raddoppiato rispetto all’importo programmato. Solo negli ultimi due anni, il prezzo del nichel è aumentato di oltre il 70% e quello del litio dell’870%.

Gli auditor criticano anche la carenza di “valori-obiettivo quantificati e vincolati a scadenze precise”. Se da un lato si prevede che al 2030 circoleranno sulle strade europee circa 30 milioni di veicoli a batteria, dall’altro “l’attuale strategia Ue non valuta se la sua industria delle batterie sia in grado di soddisfare tale domanda”.

In una tabella allegata alla relazione, la Corte stima una capacità di produzione di batterie nella Ue in crescita dagli attuali 71 GWh/anno a 520 GWh/anno nel 2025 e a 713-1.197 GWh/anno al 2030. A fine decennio figura al primo posto la Germania con 151-416 GWh/anno, seguita da Ungheria (178-188 GWh/anno), Svezia (96-160 GWh/anno) e Italia (76-118 GWh/anno).

Nel complesso, la Corte mette in guardia sui due potenziali scenari che potrebbero verificarsi qualora la capacità produttiva dell’industria europea delle batterie non dovesse crescere al ritmo previsto: nel primo la Ue sarebbe costretta a posticipare lo stop ai veicoli con motori termici al di là del 2035, nel secondo l’Unione dipenderebbe fortemente da batterie e veicoli elettrici non-Ue, con grave danno per la sua industria automobilistica e la relativa manodopera.

“La Ue non deve finire per le batterie nella stessa posizione di dipendenza in cui si è trovata per il gas naturale, in gioco c’è la sua sovranità economica”, ha commentato il membro della Corte responsabile dell’audit, Annemie Turtelboom, secondo il quale l’Unione rischia di “partire svantaggiata in termini di accesso alle materie prime, interesse degli investitori e costi”.

La relazione, dal titolo “La politica industriale della Ue in materia di batterie – Serve un nuovo slancio strategico”, segue quella del 2021 sulle infrastrutture europee per la ricarica dei veicoli elettrici, nella quale la Corte dei Conti concludeva che l’Unione è lontana dal valore-obiettivo stabilito nel Green deal di un milione di punti di ricarica entro il 2025.

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