Il mondo venatorio è in grado di generare un valore complessivo di circa 8,5 miliardi di euro annui in termini economici e ambientali, di cui circa un miliardo derivante dalla valorizzazione ambientale della caccia. È quanto emerge dallo studio "Il valore dell'attività venatoria in Italia", curato da Nomisma, promosso da Federcaccia e presentato in occasione di un evento in Senato. La ricerca analizza gli effetti generati, e potenzialmente generabili, dall’attività venatoria su ambiente, mondo agricolo e socio-sanitario, comunità ed economia nazionale. Secondo la ricerca la caccia è in grado di generare "708 milioni di euro di valore naturale dalle attività per il mantenimento delle aree umide, degli habitat e la tutela delle aree naturali protette, rese possibili grazie ai finanziamenti del mondo venatorio". "A questi - prosegue l'analisi - si sommano 20 milioni di valore agricolo derivanti dalle spese degli Ambiti territoriali di caccia per risarcire gli agricoltori dai danni provocati da alcune specie selvatiche e/o per adottare misure di prevenzione". Valgono invece 75 milioni i risparmi per la riduzione dell’impronta ecologica e idrica, prodotte dalla filiera della carne, tramite la sostituzione della carne da allevamento intensivo con selvaggina cacciata. Il valore socio-sanitario del comparto, che corrisponde al danno evitato per minori ospedalizzazioni e decessi legati agli effetti degli antibiotici nelle carni d’allevamento o per incidenti con le specie invasive, è stimato da Nomisma in 124 milioni di euro. Pari a 7,5 miliardi invece il valore "correlato al settore armiero e alla domanda di prodotti per l’esercizio dell’attività venatoria".
Approfondendo i consumi lo studio di Nomisma rileva che in Italia tra i 45 milioni di maggiorenni che si nutrono di carne il 62% consuma anche selvaggina. 23 milioni di consumatori, pari al 51%, si dichiara pronto ad acquistarla per consumo domestico se fosse di più facile reperimento. Gli intervistati, evidenzia la ricerca, "risultano particolarmente attenti e sensibili ai comportamenti sostenibili nelle proprie scelte alimentari. Rispetto alla carne acquistata il 72% ritiene molto importante il fatto che presenti meno rischi per la salute e il 70% che provenga da una filiera tracciabile. Il rispetto del benessere degli animali e dell’ambiente è ritenuto condizione imprescindibile dal 64% del campione, così come il 61% degli intervistati è attento al fatto che la carne non provenga da allevamenti intensivi. Il 47% considera importante che la carne acquistata sia naturale e provenga da animali selvatici e non di allevamento". Rispetto al livello di conoscenze dell’attività venatoria lo studio sottolinea che "di base è presente una forte disinformazione, tanto che ben 2 italiani su 3 si dichiarano non sufficientemente informati sul tema".
Lo studio di Nomisma evidenzia elementi di valore ma anche aree di miglioramento dell’attività venatoria. Emerge infatti la necessità di sostenere una "caccia etica", che non solo rispetti i regolamenti ma, soprattutto, favorisca il contenimento e il controllo delle attività illegali, promuovendo e consolidando un ruolo attivo del cacciatore nella tutela di ambiente e habitat. Ai cacciatori, sottolinea la ricerca, viene riconosciuto un ruolo di "sentinella del territorio", in quanto soggetti volontari coinvolti nei programmi di monitoraggio delle risorse naturali per migliorarne la gestione e contribuire alla ricerca. Così come viene evidenziato il contributo che il mondo venatorio è in grado di rendere alla collettività attraverso programmi di gestione faunistica, tutela ambientale e sorveglianza sanitaria esercitata da cacciatori volontari. Altro ambito di miglioramento è rappresentato dalla sensibilizzazione del sistema venatorio nel suo complesso sulle azioni di contenimento degli impatti ambientali e su un maggiore sviluppo di un modello di caccia che sia in equilibrio con la biodiversità. A livello organizzativo e gestionale, infine, il settore venatorio italiano "può mirare a una dimensione adattiva che permetta di modulare prelievi di selvaggina sulla base di un principio di sostenibilità, potenziando il monitoraggio e la programmazione dei piani di caccia e di controllo. Ciò concorrerebbe a consolidare la compatibilità tra attività venatoria e conservazione della fauna e dell’ambiente".
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