Sport
Mercoledì 26 Marzo 2014
Va di moda giocarsi il «Jack»
Ora Bonaventura piace a tutti
Va di moda giocarsi il «Jack». Chi si frega le mani di fronte all’esplosione di Bonaventura, chi lo consiglia a Prandelli per il Mondiale, chi teme che in estate possa salutare Zingonia e chi può dire di averlo scoperto in prima persona
Ultimamente va di moda giocarsi il Jack. Chi si frega le mani di fronte all’esplosione di Bonaventura, chi lo consiglia a Prandelli per il Mondiale, chi teme che in estate possa salutare Zingonia e chi può dire di averlo scoperto in prima persona: la griffe di Mino Favini dietro le quinte, ma anche l’occhio vigile di Alessio Pala, con il quale il talento marchigiano ha più volte legato la propria storia personale, oltre i confini del normale rapporto tra allenatore e giocatore.
Tutto questo riavvolgendo il nastro, mentre, guardando avanti, ecco - improvvisa - l’uscita di chi Bonaventura l’ha conosciuto relativamente da poco, ma ha imparato ad apprezzarlo, come Vicenzo Montella che, nella conferenza stampa, ha ammesso l’innamoramento della Fiorentina.
Andando con ordine, la lista degli estimatori del numero dieci nerazzurro inizia proprio con Pala: «La verità sull’inizio su Bonaventura la racconto io: nel 2000 ho tenuto una scuola calcio estiva a Castelraimondo, a una manciata di chilometri da San Severino. In quel gruppo, c’erano Bonaventura e Marilungo, undici anni: mi accorsi delle qualità di entrambi, specialmente del primo, e li proposi a Favini. Ma, dopo un provino a settembre, Bonaccorso ritenne Bonaventura troppo mingherlino e lo scartò, così lui rimase qualche anno nelle Marche, mentre Marilungo giocò un torneo in nerazzurro qualche mese dopo, ma fu scartato e selezionato in seguito dalla Samp». Secondo tempo della partita, qualche anno dopo: «Estate 2005, la premiazione per lo scudetto Allievi della mia Atalanta avvenne, per coincidenza, a San Severino Marche: incontrai Giacomo, con il quale ero rimasto in contatto, e lui mi chiese di dargli una mano, perché voleva andare via dal Tolentino, il suo club. Ne parlai subito con Antonio Bongiorni del Margine Coperta, convincemmo i genitori e si trasferì un anno in Toscana, per poi approdare all’Atalanta l’anno dopo. Io, in realtà, lo allenai solo nell’anno della Primavera, nel quale perdemmo la finale di Coppa Italia contro la Samp di Marilungo, ma ho sempre saputo che era un talento: sarebbe esploso sicuramente, è una fortuna che l’abbia fatto nell’Atalanta e in questo c’è merito del sottoscritto, della società, del ragazzo e di Colantuono».
Per saperne di più leggi L’Eco di bergamo del 26 marzo
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