Si fermano nelle dune per aiutare i rivali
La Dakar premia il team bergamasco

L’incredibile avventura dei bergamaschi Giulio Verzeletti e Marino Mutti, bloccati nel deserto nella penultima tappa dopo una spettacolare rimonta.

Due bergamaschi alla partenza, uno solo al traguardo ma nessuno nella classifica finale: la conclusione della 43esima edizione della Dakar, la seconda in Arabia Saudita, lascia l’amaro in bocca a Giulio Verzeletti, 63enne di Telgate, e Marino Mutti, 71enne di Trescore Balneario, in gara con l’Unimog U400 dell’Orobica Raid. Dopo una partenza a rilento, complice anche la scarsa cavalleria del loro camion, uno dei pochi con cilindrata inferiore ai 10 litri, hanno rimontato posizione su posizione: dal 39° posto del prologo al 32° della seconda tappa, diventato 26° dopo la terza, 23° dopo la quinta e 22° all’ottava. Il loro sogno si è però infranto alla penultima tappa, i 598 km da Al Ula a Yanbu. Rintracciato telefonicamente, prima di salire sull’aereo che li riporterà in Italia, Verzeletti lascia trasparire tutta la sua delusione: «Prima di entrare nel tratto con le dune abbiamo trovato fermo il camion dei sauditi (Almunha, Al Sanad e Abo Theeb, ndr). Ci siamo messi d’accordo per affrontarle assieme, visto che era sceso il buio. Onestamente pensavo che fossero più capaci di farle, ma dopo 2 punti GPS mi sono reso conto che non era così: per un punto GPS distante un chilometro e mezzo hanno impiegato 13 km perché non volevano salire sulle dune e passavano sui cordoni interni, per il secondo di 2 km altri 20 km. Allora mi sono fermato e ho detto : “Così non ne usciamo più. Stiamo sul percorso e se succede qualcosa ci aiutiamo”. Sono andati davanti loro e dopo due dune hanno cappottato».

Raddrizzare un bestione di quella portata non è semplice, tanto meno al buio. Verzeletti, Mutti e il vicentino Giuseppe Fortuna, terzo uomo a bordo, non sono riusciti a rimetterlo sulle quattro ruote. Il camion-balai (scopa, in francese) che carica i veicoli ritirati si è però rotto prima di raggiungerli, mentre il suo sostituto si è insabbiato a 30 km dalla destinazione. «Abbiamo aspettato 3 ore e mezza – prosegue Verzeletti – e in più avevo una colica intestinale da un paio di giorni. Ho tirato fin che potevo, ma venuti via da lì, alle 3 e mezza di notte, dopo mezz’ora abbiamo rotto la trasmissione. Si è sganciata una valvola e non entravano più le quattro ruote motrici, così ci siamo insabbiati». I tentativi di riparare il camion vanno per le lunghe e si scontrano con il peggioramento dello stato fisico del guidatore: «Ero al limite dello svenimento, appena si è fatta l’alba i miei compagni hanno deciso di chiamare i medici. Ci hanno mandato l’elicottero, mi hanno fatto subito due flebo e poi caricato a bordo. Portato a Yanbu c’era un aereo ad aspettarmi che mi ha portato all’ospedale di Jeddah».

Così come tutti gli altri infortunati, incluso il motociclista Pierre Cherpin che è morto venerdì per le ferite rimediate nella caduta della settima tappa, anche Verzeletti è stato condotto all’ospedale Saudi German, costruito nel 1988 e con 218 posti letto. «Sono stati bravi, mi hanno fatto gli esami del sangue, una tac e anche un’ecografia per capire le ragioni dei crampi all’intestino. Dopo una decina di flebo oggi (sabato 16 gennaio ndr) mattina mi hanno dimesso». Nel frattempo Mutti e Fortuna sono riusciti a venire a capo del guasto e hanno completato gli ultimi 20 km di dune, ma si era fatto tardi e così sono andati direttamente al traguardo. Il loro Unimog è stato invitato a salire sul podio, come se avesse concluso la Dakar. Fortuna, con in mano il casco di Verzeletti, e Mutti hanno ricevuto le medaglie che premiano tutti gli arrivati. Decisivo l’aiuto prestato ai sauditi che li precedevano in classifica. «David Castera, organizzatore della gara – chiosa Verzeletti – ci ha fatto i complimenti dicendo “Il vostro è proprio lo spirito della Dakar”». Che figurino o meno nell’ordine d’arrivo è solo una questione statistica.

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