Mister Mandorlini si confessa: L’Atalanta cambierà registro»

L’allenatore: «L’Atalanta vale più della sua classifica, ma ora vanno bene due partitacce pur di fare punti. Non rinuncio al mio gioco, ma proveremo degli accorgimenti. La cattiveria? Non arriva in un giorno»

Da una parte l’intransigenza: «Non chiederò mai a un mio giocatore di giocare come il Brescia»; dall’altra la disponibilità ad aggiustare il tiro: «D’ora innanzi tendenzialmente in casa giocheremo con il trequartista e due punte, in trasferta in base alle caratteristiche degli avversari. E se adesso servono due partitacce per fare sei punti, firmo subito».

Andrea Mandorlini, ultimo in classifica che più ultimo non si può, si confessa spiegando e spiegandosi, si mette in discussione, prospetta scenari, disegna campetti. Ne disegna sette in due ore, dopo aver cominciato usando i bicchieri: quelli del vino sono gli attaccanti, quelli dell’acqua i difensori. Saliera e bottiglia di novello sono i centrocampisti, mancava l’arbitro ma non serviva.

L’anello di congiunzione tra l’intransigenza e la disponibilità è uno spettacolare filetto a cottura media, il contorno le strette di mano di avventori che gli portano una davvero sorprendente solidarietà: «Mister, lei continui così: ci salveremo con il gioco».

Mandorlini ogni volta si alza, stringe mani, ringrazia. «Ecco, questo sarebbe da scrivere» suggerisce. Fatto. E prima di uscire: «Bel posto questo: si mangia bene e c’è gente che capisce di calcio».

Come se gli altri, quelli che chiedono punti, non capissero di calcio. Come se gioco e punti fossero incompatibili. Già all’inizio s’era partiti da lì. «Io di mestiere faccio l’allenatore - il ragionamento di Mandorlini era cominciato subito dopo l’ordinazione - e credo che ogni lavoro abbia una progettualità dalla quale partire. Io credo nel gioco e non intendo transigere».

Cosa vuole dire transigere?

«Non chiederò mai alla mia squadra di giocare come il Brescia. Uno contro uno a tutto campo, come unico fine quello di impedire all’avversario di giocare. No, non chiedetemi questo».

Nessuno le chiede questo. Tra il bianco e il nero ci sono tante tonalità di grigio.

«Però non posso derogare al calcio in cui credo».

Va bene. Ma il Brescia vi ha impedito di tirare in porta. E ha il doppio dei punti dell’Atalanta.

«Non posso negarlo. Ma io credo che nel lungo periodo sia più facile fare punti giocando a calcio».

E se adesso servissero due partitacce per fare punti?

«Ben vengano le partitacce. Adesso contano solo i punti, lo so. Ma non credo che le partitacce siano organizzabili».

Dica la verità: un avvio del genere non se l’aspettava.

«Proprio no. Ero convinto di avere una squadra in grado di far bene. E lo sono ancora».

Dodici partite senza vincere, dopo un terzo di campionato la salvezza già avanti cinque punti. Con che coraggio lo dice?

«Abbiamo pagato la brutta partenza, e la pagheremo per almeno altri due mesi. Ci hanno condizionato tanti errori individuali. Ma adesso in difesa va meglio».

Come no: un gol subito in tre partite. Ma non si segna più in attacco.

«Scindiamo le cose e parliamo di calcio. La difesa non ha mai commesso gravi errori come reparto, i gol sono conseguiti da errori individuali. In A non te li perdonano e ce ne siamo accorti sulla nostra pelle».

Se giocando in questo modo si è a rischio di errori individuali, magari concedendo meno agli avversari si corrono meno rischi di sbagliare.

«Se mi state chiedendo di cambiare l’assetto difensivo, rispondo che non è pensabile».

Risposta comoda: certe situazioni bisogna provarle e riprovarle... Non c’è tempo...

«Ho giocato per anni con la difesa a tre, credo di conoscerla bene: sono convinto che non avremmo più copertura».

La difesa a tre può diventare a cinque, che ne dice di Zenoni e Bellini larghi?

«No, non abbiamo i giocatori con le caratteristiche che servono per giocare a tre».

Si può coprire la difesa anche con il 4-4-2.

«No...».

No, no... Mister, ha sette punti dopo 12 partite!

«Parliamo di calcio. Il 4-4-2 è il modulo più difensivo che c’è, io voglio fare un calcio offensivo. E poi io gioco sempre con i quattro centrocampisti».

Lei fa il rombo, il riferimento è al 4-4-2 con i centrocampisti in linea.

«Ma così non giocano più neppure i puristi del 4-4-2. Se i due centrali stanno bassi, i due esterni sono sempre molto offensivi».

Con il suo 4-3-3 andremo allegramente in B.

«A Chievo e con il Brescia abbiamo provato con il trequartista dietro due punte, e l’avevamo già fatto con il Lecce e con l’Inter».

Giusto riconoscere che nelle ultime due partite non abbiamo mai tirato in porta.

«Meno male. Quindi non è il modulo. Perché contano i valori individuali, gli episodi, le condizioni di forma dei singoli».

Però con il suo 4-3-3 andremo diritti in serie B.

«Da qui in avanti nelle partite in casa tendenzialmente giocheremo sempre con il trequartista e due attaccanti. Bisogna vincere».

Con Pazzini infortunato sarà difficile far convivere Budan e Saudati.

«In organico abbiamo quattro prime punte: Budan, Pazzini, Saudati, Comandini. L’unico che può farli coesistere è Montolivo, che ha qualità enormi e un senso tattico innato che lo porta, di volta in volta, a posizionarsi sul campo nel modo giusto. La chiave di volta è lui».

Pazzini poteva giocare con tutti.

«Pazzini sì: corre, combatte, si sacrifica. Adesso sarebbe stato utile, ma tornerà. Lui ha un grande futuro davanti».

Perché ci ha messo tanto a metterlo in coppia con Budan?

«Senza Montolivo sarebbe stato difficilissimo per la squadra reggere la contemporanea presenza di entrambi».

E in trasferta cosa succederà?

«Io credo sia fondamentale garantirci più copertura a centrocampo, e lì possiamo avere cinque giocatori. I tre dietro e due trequartisti che giocano vicini, dietro la prima punta».

Come Montolivo e Lazzari con Milan e Parma?

«Così. Contro avversari con quattro centrocampisti si può fare, provando anche a ripartire negli spazi. Ma in linea di principio cercheremo sempre di adeguarci agli avversari. Ci sono altri giocatori che possono occupare quelle posizioni».

Albertini come va?

«Bene, ma deve crescere il suo apporto di personalità. Serve tempo, ma noi ne abbiamo sempre meno».

C’è chi l’accusa di non sfruttare le fasce.

«Se gioco con Gautieri e Pià larghi non va bene, se non giocano non sfrutto le fasce...».

Una cosa è certa: serve più cuore. Più battaglia. E non dica che questa squadra non ce l’ha nel dna.

«Nel dna mio e della squadra c’è il gioco».

Mandorlini da giocatore era un martello, uno tignoso. E le sue squadre sdono sempre state rognose per tutti.

«Ci sarà un motivo se questa non lo è. E comunque puoi provare a violentarti, ma non succede in un attimo, con uno schiocco di dita. Serve tempo, lavoro...».

Però, mister: trequartista e due punte in casa, assetto più coperto fuori, squadra che lavora per farsi più da battaglia. Sarà un’altra Atalanta...

«Sarà un’Atalanta che proverà sempre a fare calcio, che vorrà vincere offendendo, che attaccherà con cinque giocatori. Ma sono consapevole che bisogna fare qualcosa, che degli accorgimenti servono per migliorare la classifica».

Lei non è abituato all’ultimo posto.

«Mi spiace soprattutto per l’ambiente, per i giocatori, per il pubblico che ci sostiene, per il mio presidente che ogni volta che lo intervistate mi ribadisce la sua totale fiducia. Io non ho mai avuto una società tanto vicina. Lui, Zanzi, tutti...».

Troppo miele, siamo ultimi in classifica, quasi in B.

«Il mio stato d’animo è questo. Io non dubito di quello che sto facendo, mi spiace per quel che mi circonda».

Che obiettivo si pone per Natale? I sette punti che voleva da queste tre partite al massimo saranno quattro...

«Sarebbe un bel Natale quello trascorso a -2, massimo -3 dal quartultimo posto, dalla salvezza».

Perché poi si farà mercato?

«Perché poi giocheremo altre 22 partite con lo spirito di essere in corsa. Farlo da -10 sarebbe difficilissimo. Ma questa squadra non scenderà a -10».

Cosa si aspetta dal mercato?

«Decide la società».

Supponendo che i problemi dell’Atalanta siano una torta, la fetta delle sue responsabilità quanto è grande?

«Ne potremmo discutere per ore. Chiedo solo che mi si riconosca di lavorare per il bene dell’Atalanta, sempre. Tutto è provato e riprovato, nulla è fatto per caso. Concedetemi questo, almeno».

Non faccia la vittima, lei non ha ancora vinto una partita. Se non capitasse neppure con la Reggina?

«Cosa devo rispondere? Che se non vinco con la Reggina il presidente mi deve esonerare?».

Dopo mille tentativi non riusciti si può anche rinunciare, ci si può anche dimettere.

«Lo avrei già fatto se fossi convinto di non poter più dare un mio contributo a questa squadra, se mi sentissi solo o abbandonato dai giocatori. Non penso questo, continuerò a lavorare».

Giusto, ha anche un altro anno di contratto...

«Lo onorerò. Mi auguro di poter lavorare a Bergamo fino all’estate del 2006».

Anche in B?

«Perché, da dove vengo? E comunque noi siamo vivi e vegeti, anche se voi ci organizzate un funerale al giorno».

Torniamo al suo contratto. Se Ruggeri decidesse di esonerarla...

«Oh, capisco. Il problema è il mio ingaggio? Bene: sappiate, il presidente Ruggeri lo sa già, che nel momento in cui lui riterrà di non aver più fiducia in me troveremo di certo la soluzione. Il mio contratto è nelle sue mani, che problema c’è».

Complimenti. Lei è ultimo e non ha ancora vinto, ma è un signore.

«Sono un allenatore, credo in quel che faccio, non sopporto i vostri funerali. Ma se ci salviamo avrò problemi a trovare il ristorante grande a sufficienza per portarci tutti quelli a cui offrirò un pranzo per aver creduto in noi. Inviterò anche voi che organizzate i funerali, sarà una soddisfazione».

Le auguriamo di essere ancora qui, a invitarci.

«Io e lei torniamo qui, a farci il filetto. Qui si mangia bene e c’è gente che s’intende di calcio...».

Pietro Serina

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