L’ex ciclista Lanfranchi ora va di corsa
Ed è secondo alla maratona di Brescia

«Sono andato così forte ripensando alle parole di Marco Pantani. Diceva spesso: in salita vado di fretta così la discesa arriva prima…». Era in pianura il traguardo della Brescia Art Marathon, ma Paolo Lanfranchi l’ha superato di buona lena.

Crono 2h39’57”, niente male se la carta d’identità dice 1968 e se sei all’esordio sulla distanza di Filippide memorie: «Prima del via mi ero posto l’obiettivo di chiudere sotto le 3 ore – dice l’ex ciclista professionista (in attività dal 1993 al 2004) - . Alla fine sono rimasto stupito pure io della performance». Un po’ come quelli che hanno dato un’occhiata alla classifica della manifestazione. Quarto assoluto (ma di fatto secondo dato che l’etiope Tefa Megersa e il keniano James Onkoba hanno chiuso fuori classifica ) Paolo Lanfranchi, lo stesso che nel 2000 vinse la mitica tappa del giro d’Italia di Briancon a coronamento di una carriera (sui pedali) niente male. Fra le tante, si segnalano due maglie azzurre ai Mondiali, un quattordicesimo posto al Tour ’95, un secondo posto al Lombardia ’97 e ai campionati italiani ’95 (dietro a Bugno).

Che ci fa, a piedi, uno così? «Fra le cose che volevo fare almeno una volta nella vita c’era una maratona – confessa l’ex pro (nove le squadre in cui ha militato in carriera, fra cui Mercatone Uno e Mapei) - . Ci avevo provato già nel 2008 ma mi strappai subito, stavolta sono andato per gradi».

Poco meno di tre mesi d’allenamento «Ma senza forzare né fare lavori specifici». Un’uscita sulla mezza a Treviglio (1h15’34”, tenendosi dietro anche mister maratona Emanuele Zenucchi, uno che sui 42 km e 195 metri ha vinto 41 volte), poi ecco il grande giorno. Ha scelto Brescia, perché il tracciato lo conosceva quasi a menadito: «Faccio il rappresentante per la Ferrero e lavoro proprio in quella zona: sapevo cosa mi aspettava».

Vestiva la maglia del Gruppo Alpinistico Vertovese grazie a una procuratrice speciale, la sorella Oriana: «Lei è una vita che gareggia per quella società – continua Paolo, emblema di come il buon sangue non menta (papà Luigi è stato atleta di buon livello di corsa in montagna) –. Mi è sembrato giusto prendere il testimone da lei».

Se gli chiedi di fare un parallelismo fra le fatiche dell’atletica e quelle del ciclismo dice che «in entrambe la tenuta mentale è tutto. Dal trentesimo chilometro in avanti, una maratona, sembra a una cronoscalata». Se gli dici di trovare delle differenze, sostiene che «sui pedali se sei stanco un po’ ti puoi gestire, nella corsa se ti fermi sono guai».Ora nella speciale classifica dei ciclisti convertiti alla maratona ha superato il cittì della nazionale Davide Cassani (2h45’25”), il francese Laurent Jalabert (2h45’59” ), il texano Lance Armstrong (2h46’43”), preceduto solo dall’imprendibile Leonardo Calzavara (2h26’26”, ma a 32 anni…) e dallo spagnolo Abraham Olano (2h39’19”): «Peccato perché a ripensarci Olano era alla mia portata già stavolta – dice ridendo (ma non troppo) -. Per lunghi tratti a Brescia ho corso da solo, per tre quarti di gara spirava un fastidioso vento laterale».

L’aria che tira è quella che per il periodo primavera-estate tornerà all’amata bicicletta: «Il mio primo amore, non sono mai sceso dalla sella da quando avevo nove anni». Ma con l’atletica l’appuntamento è rimandato solo sino al prossimo autunno, per una nuova sfida, e forse ancora più ambiziosa: «Mi piacerebbe correre una maratona con il mio ex compaesano Migidio Bourifa – chiude Lanfranchi, cresciuto a Casnigo come il pluricampione italiano di specialità – . Il triathlon? Per ora dico no, ma nella vita mai dire mai: tutto quello in cui c’è della fatica mi affascina e coinvolge». Lo diceva pure Pantani: tanto, dopo la salita, c’è sempre la discesa.

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