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Martedì 13 Settembre 2016
La morte di Piermario Morosini
Condannati i tre medici allo stadio
Un anno di reclusione al medico del 118 di Pescara Vito Molfese, otto mesi al medico sociale del Livorno Manlio Porcellini e a quello del Pescara Ernesto Sabatini
I tre imputati sono stati anche condannati, insieme alla Asl di Pescara e alla Pescara Calcio, al pagamento di una provvisionale di 150mila euro. È la sentenza pronunciata da Laura D’Arcangelo, giudice del tribunale monocratico di Pescara, nel processo di primo grado sulla morte del calciatore bergamasco del Livorno Piermario Morosini. Due anni di reclusione per il medico del 118 Vito Molfese e assoluzione perché il fatto «non costituisce reato» per il medico sociale del Livorno Manlio Porcellini e il medico del Pescara Ernesto Sabatini era stata invece la richiesta formulata davanti al tribunale monocratico di Pescara dal pm Gennnaro Varone, nei confronti dei tre imputati nel processo per la morte del calciatore del Livorno, il bergamasco Piermario Morosini, avvenuta il 14 aprile 2012 a Pescara. «Fa una certa rabbia vedere le immagini con il defibrillatore in campo vicino a Morosini e nessuno che lo utilizza». Così Edoardo Cesari, avvocato di parte civile in sostituzione di Giovanni Vezzoli e in rappresentanza di Maria Carla Morosini, nel corso del processo sulla morte del calciatore del Livorno. «Per Molfese (medico del 118, ndr.) sono emersi obblighi di responsabilità civile legati al mancato uso del defibrillatore e ai tempi di intervento - ha proseguito il legale - ma lo stesso grado di responsabilità va estesa agli altri due imputati Porcellini e Sabatini», rispettivamente medico del Livorno e medico del Pescara calcio.
Cesari aveva chiesto un risarcimento di 200mila euro per danni non patrimoniali e 130mila euro per danni patrimoniali. «Piermario era l’unico parente stretto di Maria Carla dopo la morte dei genitori - ha evidenziato l’avvocato - e in seguito alla morte del fratello la condizione della mia assistita si è aggravata».
«Siamo certi che la mentalità del capro espiatorio resterà fuori da questo processo e rileviamo come il diritto di questa difesa ad esercitare il proprio ruolo risulti compromesso, vista la genericità e indeterminatezza dell’imputazione». Con queste parole l’avvocato Alberto Lorenzi, difensore del medico del 118 Vito Molfese, ha chiesto la nullità delle accuse a carico del proprio assistito e l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato, nell’ambito del processo in corso a Pescara sulla morte di Morosini. «Non c’è riferimento ad alcuna norma che imponesse a Molfese di intervenire - ha aggiunto Lorenzi - il medico del 118 si trovava nella postazione all’esterno degli spalti per garantire la sicurezza degli spettatori ed erano altri ad essere incaricati di fornire quel tipo di soccorso in campo».
Gabriele Rondanina, difensore del medico del Livorno Manlio Porcellini, si è associato alla richiesta di assoluzione del proprio assistito formulata dal Pm e ha rimarcato come tutti i consulenti abbiano riconosciuto «come l’intervento di Porcellini, il primo a prestare soccorso a Morosini, sia stato utile, necessario e tempestivo». Rondanina inoltre ha osservato: «I primi ad assolvere il mio assistito sono stati i giocatori del Livorno, che hanno voluto che restasse al suo posto senza problemi». Per Giuliano Milia, che assiste il medico del Pescara Ernesto Sabatini, «l’intervento dei due medici sportivi è stato pronto ed efficace, ed il fatto che nei primi momenti del soccorso ci fosse il polso e il giocatore avesse sputato la cannula dimostra che c’era una reazione, facendo venire meno la funzione diagnostica del defibrillatore». Inoltre Milia ha sottolineato che «i pareri degli esperti si basano su statistiche e percentuali non in grado di garantire che Morosini si sarebbe ripreso grazie all’uso del defibrillatore».
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