«Dietro l’arbitro, l’uomo»
L’intervista di addio di Paolo Mazzoleni

Il direttore di gara bergamasco dice stop dopo 28 anni di calcio e oltre 200 partite in A. E ora si racconterà in un libro.

«Ibrahimovic il più forte che ho visto, l’unico che sul campo ti dava la sensazione di poter vincere le partite da solo. Messi il simbolo del talento, Cristiano Ronaldo la macchina perfetta. Zanetti e De Rossi i più carismatici, Hamsik quello meno sopportabile». Dopo 28 anni di calcio Paolo Silvio Mazzoleni, classe 1974, ha chiuso la carriera arbitrale per limite d’età. Da inizio stagione è l’arbitro lombardo con più presenze in A nella storia del calcio italiano, l’unico sopra le 200 partite. «Mi chiama Casarin: “Bravo, bel traguardo. E mi hai tolto l’impiccio di ’sto record...”».

Lei esce dai quadri, si ipotizza che andrà nel gruppo unico dei Var.

«Mi hanno chiesto di dare una mano, so che quella è una via preziosa per aiutare i giovani sul campo. Dato che mi vedo ancora in questo ambiente, perché no».

Anche perché ormai l’arbitro al Var conta più dell’arbitro di campo.

«No, l’arbitro di campo dirige la partita, quello al Var lo aiuta a sbagliare il meno possibile».

Quando non sbaglia pure lui come nella finale di Coppa Italia…

«Non parlo di casi specifici. Ma il Var è un vantaggio per tutti, a qualsiasi arbitro lei lo chieda si sentirà rispondere: adesso farne a meno sarebbe un gran problema. Però si tende a pensare al Var come a un meccanismo infallibile, ma la realtà è un’altra: la tecnologia è uno strumento, l’arbitro che la utilizza è un uomo, quindi capita che sbagli».

Insomma, non si torna indietro.

«Impossibile, e per fortuna. E dove il Var non c’è, tutti ne sollecitano l’introduzione. Il nostro futuro sarà anche questo: aiutare gli arbitri all’estero, formandoli all’utilizzo della tecnologia».

Ma lei l’avrebbe voluta prima?

«Guardi, uno degli errori che più mi tormentano è un rigore in Juventus-Genoa: lo fischio, chiedo aiuto ai leader in campo, Del Piero che ha subìto il fallo giura che era in area, i genoani sostengono il contrario. Io l’ho visto in area: rigore. La sera vedo le immagini: fuori area di un metro. Bene: oggi, con il Var, a quell’errore si rimedia in pochi secondi. Perché gli arbitri ambiscono alla trasparenza, non esistono trame per far vincere questo o quello. L’arbitro è un uomo, in quanto tale capita che sbagli. Io prima di una gara non ero mai teso, dopo trovavo pace guardandomi allo specchio e guardando dentro me stesso, prima di coricarmi. Li ho sempre trovato la serenità».

Neppure dopo quella Juve-Napoli 4-2 in Supercoppa a Pechino? O dopo il rosso a Koulibaly in Inter-Napoli?

«Nessuna decisione sbagliata, quel rosso a Pandev è figlio della segnalazione di un assistente, Stefani, che poi ha fatto anche la finale dei Mondiali in Brasile con Rizzoli. Il rosso a Koulibaly è una decisione che nessuno può contestare: è il regolamento. I buu razzisti sono di competenza delle autorità, non dell’arbitro».

Ma perché oggi un ragazzo si dovrebbe mettere a fare l’arbitro?

«Ognuno ha le sue di motivazioni. Io venivo dal basket, due anni a Cantù prima di tornare a casa e a 17 anni mettermi a lavorare con mio padre. Mio fratello era arbitro, io mi volevo mettere alla prova sul piano individuale, ho trovato un ambiente serio e ho scoperto un’attività che poi mi ha aiutato nella crescita personale».

Leggi tutta l’intervista su L’Eco di Bergamo del 5 giugno

Mercoledì 12 giugno, alle ore 18, al Teatro di Colognola, il suo quartiere, Paolo Mazzoleni nel giorno del suo 45° compleanno presenterà un libro-biografia dal titolo «La mia regola 18». Sulla copertina del volume, alla cui stesura hanno collaborato Giorgio Burreddu e Alessandra Giardini, campeggia una foto dell’ex fischietto con il figlio Riccardo (Ricky), di spalle. Il sottotitolo del volume è «Storia di un arbitro, di un padre, di un uomo felice».

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