Cunego in visita a L’Eco «Ho Bergamo nel cuore»

Il 22enne veronese, vincitore dell’87° Giro d’Italia, ha fatto visita alla redazione del nostro quotidiano, raccontando episodi, emozioni e retroscena della sua impresa

L’87°Giro d’Italia si è appena concluso ma il vincitore, Damiano Cunego, respira ancora l’aria della corsa rosa. L’emozione, l’affetto della gente, c’è tutto nel racconto che ha regalato ieri durante la sua visita a «L’Eco di Bergamo». Ma prima di raccontare il suo Giro, Cunego ricorda gli inizi della sua carriera, quando incominciava ad imporsi proprio nella nostra città: «Ricordo quel secondo posto, nel 1997, al Trofeo Eco di Bergamo e poi tante altre corse. Ho sempre portato la vostra città nel cuore».

Il racconto della grande avventura del Giro scorre con grande semplicità ma anche con determinazione, soprattutto quando si è parlato dei rapporti con Gilberto Simoni, capitano della Saeco, che si è visto sopravanzare inesorabilmente da questo giovane emergente.

Damiano giunge al giornale poco prima delle 19, accompagnato dal suo procuratore Johnny Carera e dal direttore sportivo Giuseppe Martinelli.

Come ci si sente dopo avere aggiunto il proprio nome sul prestigioso albo d’oro del Giro d’Italia?

«Sono sensazioni del tutto nuove, dovrò abituarmi. In questi giorni sono stato impegnato in molte gare che mi hanno consentito di riassaporare l’affetto delle persone. Sono contento, cosa posso dire di più? Contento ma anche stanco; è un mese che sono lontano da casa e un poco mi manca. Devo trovare ancora gli equilibri collaudati prima del Giro, ritornare alla normalità, alla tranquillità».

Sarà ancora possibile dopo lo strepitoso successo?

«Certo, il Giro è una vetrina importante, me n’ero accorto lo scorso anno anche se non avevo avuto modo di brillare, soltanto 34° in classifica ma con la netta sensazione di essere in possesso di margini di miglioramento».

A Genova, alla partenza del Giro, non aveva nemmeno immaginato che potesse finire così.

«E’ vero. Sarebbe stato un sogno vincere una tappa. Ritenevo che la maglia rosa la dovesse conquistare Simoni, io ero soltanto un suo gregario alla ricerca di un piccolo spazio. Le cose sono andate diversamente e ripeto, non me l’aspettavo».

Quando ha cominciato a crederci davvero?

«Ritenevo di avere raggiunto l’obiettivo vincendo a Pontremoli; Simoni aveva iniziato bene vincendo la terza tappa a Corno alle Scale con salita nel finale e quel successo gli aveva consentito di vestire la maglia rosa. A Montevergine la situazione si è capovolta: ho vinto io e sono balzato al comando della classifica».

Ed ha cominciato a crederci.

«In effetti è stato così. Ne parlavo la sera con Eddy Mazzoleni con il quale ho condiviso la stanza d’albergo; mi sono trovato subito a mio agio con lui. Pensavamo entrambi che avrei potuto difendere la maglia rosa sino alla cronometro di Trieste. Mi sembrava esagerato ma anche Eddy mi spronava a tentare, soprattutto a prendere tutto con tranquillità. Avevo già centrato un obiettivo: tappa e maglia rosa, ce n’era a sufficienza per essere contento. Confidavo però nell’esperienza di Eddy, nella sua amicizia: i suoi consigli, alla fine, sono risultati determinanti».

Trieste, e poi?

«Tutto come programmato. La cronometro non è mai stato il mio forte, ho cercato di contenere i distacchi dai corridori di classifica e non sono andato male. È stato la sera della cronometro, guardando la nuova classifica, che ho pensato che valeva la pena di rischiare. Mazzoleni ovviamente era d’accordo, ma forse per non responsabilizzarmi eccessivamente, mi suggeriva di aspettare che fosse la corsa a suggerirmi i passi da fare».

I successi di Falzes, di Bormio 2000, il malumore più volte manifestato da Simoni: non si è sentito imbarazzato?

«All’inizio del Giro le gerarchie erano chiare, strada facendo però qualcosa è cambiato, cosa avrei dovuto fare? I tecnici hanno deciso che la squadra fosse a disposizione di uno e dell’altro, io ho giocato le mie carte, Gibo le sue. E’ andata bene a me».

Però quelle parole sul traguardo di Bormio 2000, Simoni avrebbe potuto risparmiarsele.

«Sono cose passate, ci siamo chiariti. Guardate questa fotografia (mostra la foto pubblicata sull’Eco che li vede abbracciati uno all’altro sul podio, a Milano ndr) è la testimonianza che le incomprensioni sono superate».

Non si può non parlare della notte dei Nas che seppure indirettamente, l’ha vista coinvolto.

«Poco dopo le quattro, in piena notte, hanno bussato alla nostra porta; io ed Eddy ci siamo guardati, non riuscivamo a capire cosa stesse accadendo. Si sono qualificati, hanno rovistato in più parti ma non hanno trovato nulla quindi se ne sono andati».

Armstrong ha avuto parole di ammirazione nei suoi confronti, ora l’aspetta al Tour.

«E’ presto per affrontare il Tour, l’età più giusta a mio avviso è correrlo a 25 anni. Armstrong è un grande, del resto uno che ha vinto cinque Giri di Francia... fate voi. E’ vero, concentra la stagione su questa grande corsa a tappe, a me invece piace diversificare».

Gimondi a 22 anni vinse il Tour.

«Altri tempi, altro ciclismo, sono dell’avviso che non è ancora giunto il tempo per me».

Qualcuno l’ha già definita un fenomeno, l’erede di Pantani, la spaventa tanta responsabilità?

«Non più di tanto, fa piacere, dà morale, basta non montarsi la testa, penso di riuscire a restare sempre Damiano. Certo che l’affetto incontrato nell’ultima settimana di Giro è stato eccezionale; ricordo con emozione la gente sulla Presolana, uno spettacolo».

Quel giorno avrebbe potuto fare di più se non fosse stato vincolato dalla fuga di Simoni con Garzelli?

«Penso che avrei potuto attaccare io. Mi ha tranquilizzato Mazzoleni, con il qualc mi sono consultato sovente».

Ed ora?

«Niente di particolare, qualche giorno in famiglia, venerdì c’è la festa a Cerro Veronese. Che cosa abbiano in mente i miei concittadini proprio non lo so, comunque sia sarà un incontro simpatico. Conto di allenarmi in vista delle prossime gare, dovrei rientrare a fine giugno, al campionato italiano. Il sogno nel cassetto è rappresentato dalle Olimpiadi mentre al mondiale di Verona conto di esserci».

Prima di salire sull’ammiraglia per il rientro a Cerro Veronese, Cunego incrocia un giovane, pressapoco della sua stessa età, che gli indirizza complimenti ad alta voce stuzzicando la curiosità di altri passanti che incominciano ad applaudire la maglia rosa. Damiano sorride prima di infilarsi sull’ammiraglia: «La vetrina del Giro è importante, me ne sto rendendo conto ogni giorno di più. Fa piacere, ma la mia forza è la tranquillità». Ok maglia rosa, buona continuazione.

(02/06/2004)Renato Fossani

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