Sport / Isola e Valle San Martino
Mercoledì 03 Giugno 2009
Nives Meroi è tornata a casa:
«Ho scelto i veri valori della vita»
Si è tenuta mercoledì mattina al Qui Wolf di Montegnacco di Cassacco la conferenza stampa di Nives Meroi, di ritorno dall’Himalaya. Un’occasione di incontro e di confronto con l’alpinista che ha raccontato le emozioni della sua ultima avventura sul Kangchenjunga dove insieme al marito Romano Bennet ha realizzato un’importante vittoria: non un successo sportivo ma una conferma dei valori della vita.
Nives Meroi ha scelto di rispettare l’uomo, la natura, la montagna e l’amore per suo marito Romano, rimandando più in là il raggiungimento del dodicesimo Ottomila. Accanto a Nives, Giuseppe Petris, fondatore di Wolf Sauris, partner delle imprese di Nives accompagnato dai figli Katia e Stefano e la sorella di Nives, Leila: il marito Romano è ancora molto provato e questa mattina era impegnato in accertamenti clinici.
Parte da qui, dalla rassicurazione di Nives verso i partecipanti sulle condizioni di salute e dall’emozione dello staff della Wolf che ha voluto dare un significato più che positivo e ampiamente condiviso delle decisioni prese in alta quota sull’impresa che i due protagonisti friulani stanno realizzando. Nives e Romano erano partiti nel mese di marzo alla volta dell’Himalaya con l’obiettivo di scalare due delle tre cime che mancano per raggiungere quota 14: il Kangchenjunga e l’Annapurna. La coppia voleva tentare prima la scalata al Kangchenjunga ma gli scioperi e le contestazioni in atto nella zona est del Nepal impedivano l’accesso alla montagna e così hanno deciso di invertire le due scalate, nella speranza che nel frattempo la situazione si calmasse.
Si sono così diretti verso l’Annapurna, uno degli Ottomila meno alti e nel contempo più pericolosi, con distanze lunghissime costellate di seracchi e crepacci. La scarsità di precipitazioni durante tutto l’inverno in questa zona ha reso il percorso un vero e proprio labirinto di ghiaccio. Per venti giorni Nives e Romano hanno cercato la via per superare i seracchi ma col passare dei giorni le condizioni peggioravano e l’aumentare della temperatura causava crolli e l’apertura di crepacci che modificavano di continuo il percorso, impedendo anche di conservare il senso dell’orientamento.
Romano ha iniziato a non sentirsi bene e grazie a una visita medica telefonica gli è stata diagnosticata una bronchite. Ha iniziato subito una cura antibiotica ma probabilmente a causa dell’altitudine la guarigione è risultata più lunga del previsto. La coppia vedeva sempre più difficile superare il labirinto di ghiaccio, che cambiava forma continuamente sotto i loro occhi. Hanno deciso così di lasciare perdere per il momento il progetto Annapurna e di dedicarsi al Kangchenjunga.
Dopo 15 giorni di viaggio per spostarsi da una montagna all’altra, il 3 maggio hanno raggiunto il campo 1 del Kangchenjunga, la terza vetta più alta del mondo, una montagna che Nives che ha definito “una montagna bellissima, poco frequentata. A differenza dell’Annapurna non è una zona turistica, è il vero Nepal, con tutta la sua bellezza e ricchezza paesaggistica , con tutta la sua povertà e con tutti i suoi problemi”.
Nel frattempo Romano si sentiva meglio e la coppia ha intrapreso la scalata raggiungendo rapidamente il campo 2 e poi il campo 3 a 7.300 metri, dove sono rimasti fermi tre giorni prima di poter ripartire alla volta del campo 4, a 7.700 metri. Le condizioni favorevoli facevano ben sperare: la cima era raggiungibile…
Il giorno successivo sono partiti per raggiungere la cima. Lungo il percorso Nives si accorge che Romano rallenta sempre di più, e nonostante le rassicurazione di Romano, continuavano la scalata: ma dopo poco tempo, Romano e Nives si sono guardati negli occhi e da un solo cenno di Romano, lei ha capito che non ce la faceva più. Ne erano coscienti tutti e due. Romano voleva continuare lentamente verso il campo e aspettare lì Nives che avrebbe potuto continuare la scalata da sola. Per scongiurare problemi di edema celebrale, Nives ha sottoposto Romano ai test neuro comportamentali, messi a punto dalla sorella, Leila Meroi, impegnata in studi di neuroscienze sull’edema celebrale in alta quota. Appurato che non si trattava di edema celebrale subito la scelta.
Continua il racconto di Nives: “Noi abbiamo affrontato tutte le scalate insieme. Io avrei potuto scalare il mio dodicesimo Ottomila e sarei ancora in cima al primato però non avrebbe avuto lo stesso senso. Così ho alleggerito lo zaino di Romano, caricando di più il mio e siamo scesi al campo 3, dove abbiamo aspettato i portatori per scendere.” E’ stata una scelta difficile e coraggiosa, a livello emotivo e psicologico. “Nel turbinio di pensieri e di paure che ti sovraccarica la mente in quei momenti, l’importante è non lasciare che la paura si trasformi in panico e ti impedisca di pensare. Potevamo fare affidamento solo su di noi, e la soluzione ci è apparsa subito evidente.”
“Quello che è fondamentale” ha continuato Nives “è l’autosufficienza fisica e psicologica. Siamo tornati indietro prima di avere bisogno di soccorso, prima che qualcuno dovesse essere messo in gioco per soccorrerci. E’ fondamentale essere in grado di rendersi conto di quando è il momento di fermarsi e tornare giù”, “oggi la tendenza delle spedizioni è quella di dover ad ogni costo riuscire, non essendo disposti ad accettare il rischio dell’insuccesso.” “Mi sento un dinosauro” ha continuato Nives, “ormai l’alpinismo Himalayano punta solo al risultato. Tutti gli alpinisti vogliono addomesticare il più possibile la montagna e soprattutto l’avventura, avendo la quasi totalità delle garanzie: ossigeno, portatori d’alta quota, corde... (...) Noi eravamo gli unici ad avere uno zaino con dentro tutto il campo.”
“Il nostro alpinismo è sempre meno in voga. Il nostro obiettivo è riuscire a scalare le montagne solo con le nostre forse, oppure di non riuscirci e tornare indietro. Il messaggio che si manda deve essere sempre positivo, altrimenti perde coerenza con l’obiettivo che si vuole raggiungere.”
Oltre a Nives, altre due donne, una basca e una austriaca, sono impegnate nella sfida per diventare la prima donna ad aver scalato tutti e 14 gli Ottomila del mondo. In primavera erano tutte e tre a quota 11, ma oggi le due concorrenti di Nives sono un passo avanti a lei.
“Chi sarà la prima donna a riuscirci è presentato spesso dai media come un gara, ma l’alpinismo non può essere presentato come una gara, perchè una gara presuppone le stesse condizioni. E non è così”. Nives e Romano affrontano le scalate senza ossigeno e senza portatori d’alta quota, da soli e senza spedizioni al seguito. Il loro alpinismo è stato definito leggero ed essenziale. Sono l’unica coppia impegnata insieme in questa avventura. La vera sfida è proprio questa: riuscirci insieme.
Giuseppe Wolf, particolarmente emozionato davanti alle dichiarazioni dell’alpinista, ha confermato l’impegno del sostegno della Wolf a favore di questi due atleti che affrontano le sfide sportive con il giusto equilibrio e senza pregiudicare la vita di nessuno, un valore che a volte viene dimenticato.
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