«Senza un rene, ma gioco ancora»
La storia di Legrenzi del Sovere

È la storia di un giocatore che non molla. Che ha deciso di ribaltare il risultato e vincere contro l'avversario più subdolo: il fato ostile. Gliene ha fatte di tutti i colori, la malasorte, ma Michele Legrenzi - senza un rene - è ancora lì che corre e calcia.

Questa è la storia di un giocatore che non molla. Che ha deciso di ribaltare il risultato e vincere contro l'avversario più subdolo: il fato ostile. Gliene ha fatte di tutti i colori, la malasorte, ma Michele Legrenzi è ancora lì che corre e calcia, quando magari c'è gente che ha smesso per molto meno.

Per fermare Legrenzi, centrocampista del Sovere, non bastò un grave incidente stradale in moto occorsogli nel 2009, diciott'anni appena toccati e l'aria della serie A già respirata a pieni polmoni (frattura di tibia e perone). Poi, lo scorso febbraio, altra randellata inferta dalla sfortuna, con un grave infortunio rimediato durante una partita di Eccellenza: pericolo di vita, intervento chirurgico d'urgenza e asportazione di un rene. «Ma in fin dei conti - dice Michele, classe 1991 di Clusone - ne sono venuto fuori bene, dai: sei mesi e sono tornato in campo».

Sì, d'accordo, ma quel giorno a Castegnato, contro il Folzano, se l'è vista davvero brutta...
«È stato uno scontro fortuito su azione da corner avversario: ho fatto per staccare e rinviare di testa e nel mucchio mi sono preso un duro colpo sul fianco. Al momento mi è mancato il fiato e ho pensato: "Che botta", ma l'idea era quella di uscire qualche istante, riprendermi e ripartire».

Una volta scongiurata l'emergenza, ha creduto di aver chiuso con il pallone?
«No, io ho sempre pensato e sperato di ritornare ancora in campo. Senza un rene si può vivere e si può giocare, ovviamente con qualche accortezza in più. Quel che conta è l'aspetto psicologico: se ti porti dietro la paura, non combini più nulla, ma questo capita anche per qualsiasi genere di trauma».

Lei non ha mollato neppure nel 2009, quando una carriera da professionista è svanita dietro una curva presa male.
«Già, avevo 18 anni, giocavo nella Primavera dell'Atalanta e Del Neri mi aveva appena portato in panchina per la gara di serie A con la Fiorentina. Seduti con me c'erano Gabbiadini e Zaza, non so se mi spiego: si stavano aprendo prospettive meravigliose».

Invece?
«Invece una sera, in moto, sono uscito di strada sull'asfalto bagnato finendo contro il guardrail. Frattura di tibia e perone, un anno di stop e addio ai sogni. Poi sono rientrato, sempre nella Primavera, ma non giocavo mai e soprattutto capivo che il mio nome non era più fra quelli gettonati: il treno, ormai, era passato».

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