Sport
Martedì 20 Novembre 2012
Alessandro Ruggeri e l'Atalanta:
ho venduto per paura e tensioni
«Certi tifosi, per tante cose, sono straordinari. Fanno beneficenza. Ma Bergamo vive un'ambiguità: com'è possibile dire che siccome alla festa della Dea si fa benficenza, vanno bene anche gli scontri?». Lo dice Alessandro Ruggeri a Corriere e Gazzetta.
«Certi tifosi, per tante cose, sono straordinari. Fanno beneficenza, raccolgono anche fondi alla festa della Dea. Ma Bergamo vive un'ambiguità di fondo: com'è possibile dire che siccome alla festa della Dea si fa benficenza, allora vanno bene anche gli scontri? Il concetto di fondo che gira è questo. Cioè, siccome mandiamo soldi in Abruzzo, possiamo prendere a sprangate un tifoso dell'Inter o dare sberle alla juventini? L'ambiguità non è un bene».
Lo dice Alessandro Ruggeri, figlio minore di Ivan Ruggeri, che a metà gennaio del 2008 - dopo un gravissimo ictus che colpì il padre - assunse la guida dell'Atalanta, per poi cederla al gruppo Percassi due anni e mezzo dopo. Ruggeri racconta la sua storia nerazzurra in una lunga intervista al Corriere della Sera e alla Gazzetta dello Sport in edicola martedì 20 novembre.
L'imprenditore bergamasco - oggi 25enne - racconta anche del suo rapporto con gli ultrà: «Io - si legge sul Corriere - nel mio rapporto con gli ultà ho commesso errori, sempre in buona fede. Ho sbagliato. D'altra parte certe circostanze che stanno emergendo mi lasciano allibito». E più avanti aggiunge: «Si è trattato di un errore anche se non ho mai fatto favori. Non sono mai andato ad una manifestazione degli ultrà e nemmeno alla festa della Dea. Non che ci sia qualcosa di male, ad andarci, ma ci sono ruoli ed equilibri da rispettare, nella vita».
Ruggeri fa pure riferimento ad alcune intercettazioni emerse nel corso delle indagini della Procura sul tifo violento (conclusesi proprio nei giorni scorsi) da cui risulterebbe che «un politico come Daniele Belotti, o altri tifosi tra loro, parlano della necessità di far vendere la società ai Ruggeri - prosegue -. O quando vengo a sapere che il capo ultrà, il Bocia, tentava di avere un appuntamento con persone che stavano nel mio Consiglio d'amministrazione».
Alla luce di queste e altre intercettazioni, Ruggeri dice al Corriere che pensa a delle trame. «Ma devo aggiungere anche altro. La cosa clamorosa è che persone che credevamo amiche facevano il doppio gioco: venivano in casa a trovare mio padre, magari quando io non c'ero, e tentavano di parlare con mia madre o mia sorella, per capire se c'erano prospettive di vendita».
Alessandro Ruggeri fa anche dei nomi: «Roberto Spagnolo, entrato nel Consiglio d'Amministrazione come uomo di fiducia di mio padre. Dopo il nostro addio è stato nominato direttore generale della nuova gestione Percassi: una cosa mai vista, e non solo nel calcio».
Alessandro Ruggeri, nell'intervista al Corriere, è convinto che «c'era qualcuno che all'interno dell'Atalanta cercava di dividerci. E in parallelo c'era un'escalation di situazioni che a poco a poco ci isolavano. La stampa che ci attaccava, non poco. E poi casualmente tutte quelle forze sono confluite. Cioè tutti quelli che ci attaccavano durante la stagione alla fine si sono ritrovati».
Al cronista che gli fa notare quanto sia pesante un'illazione di questa natura, Ruggeri replica: «C'è un dato incontestabile: la stampa locale, i tifosi e qualcuno all'interno della società lavoravano contro di noi».
Alessandro Ruggeri parla anche di Cristiano Doni, cui - dice - non avrebbe rinnovato il contratto «per quel che è successo dopo Conte e per quanto è successo più avanti nella storia dell'Atalanta. Altri invece hanno dichiarato che Doni sarebbe stato il presidente ideale per il futuro della società».
Ruggeri parla anche della vendita dell'Atalanta: «meno di 15 milioni. Non certo 22. In altri momenti non l'avrei mai venduta a quella cifra». E alla domande perchè allora vendette, risponde: «Per paura e tensione. Ripeto, c'erano ultrà come il Bocia che contestavano e cercavano contatti con Lazzarini e Bortolotti che poi fortunatamente ad un appuntamento non sono andati. C'era la stampa che tirava in una direzione, c'era qualcuno che logorava dall'interno. Non avevo la forza di reggere».
Ruggeri «si sentiva solo», con sua sorella e sua madre: «Diciamo che non pensavo di ricevere altri aiuti, ma almeno di non essere tradito...».
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