Sahara, Camozzi non s'insabbia
Primo italiano e terzo assoluto

Straordinaria impresa di Massimo Camozzi, quarantasette anni da Selvino, una quotidianità tra le quattro mura della sua ferramenta e un grande sogno chiamato maratona che bussa alla porta di tanto in tanto: si è classificato primo italiano e terzo assoluto nella 100 km del Sahara.

Questa storia la si può raccontare in tanti diversi modi. C'è l'approccio aulico, a descrivere quell'immensa distesa di sabbia che inghiotte l'orizzonte, le stelle che illuminano la notte e la corsa degli uomini di acciaio che scivolano via sulla sabbia sfidando i propri stessi limiti.

C'è l'approccio comico, in stile barzelletta: «Un selvinese va nel Sahara e trova la neve», partirebbe più o meno così e non è detto che le risate andrebbero di pari passo con la banalità. C'è poi l'approccio analitico, che illustra l'ottimo terzo posto di un bergamasco nella 100 km del Sahara, svoltasi lo scorsa settimana nel deserto tunisino.

Ribaltato in un modo o nell'altro, il racconto manterrebbe immutato il suo significato, ovvero la straordinaria impresa di Massimo Camozzi, quarantasette anni da Selvino, una quotidianità tra le quattro mura della sua ferramenta e un grande sogno chiamato maratona che bussa alla porta di tanto in tanto.

Roma, Amsterdam, Budapest, Praga, prossimamente Edimburgo, persino la mitica corsa di New York nel suo curriculum di amatore, ma non certo di ultimo arrivato. L'idea che da qualche tempo si faceva largo nella sua testa era quella di andare oltre, tentare qualcosa di diverso, come la grande sfida del deserto: lui e l'inseparabile amico Angelo Razzetti ne parlavano da anni e finalmente il progetto avrebbe assunto i contorni della realtà negli ultimi mesi, con l'iscrizione alla 100 km del Sahara.

Una maratona, anzi di più: innanzitutto per il format, che associa ai 42 km classici, altri tre giorni di gare sotto il sole dell'Africa, in secondo luogo per lo scenario, assai più esotico rispetto alle consuete scenografie metropolitane. Prima dell'aspetto sportivo, dunque, conviene soffermarsi sul contorno: «Dopo un'esperienza del genere, il deserto lo si ama o lo si odia: o lo vivi come un ricordo nefasto, oppure non vedi l'ora di tornarci. Io me ne sono innamorato».

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