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Martedì 02 Agosto 2011
Scommesse: il 3 scatta il processo
Paoloni: «Mai venduto partite»
Mercoledì 3 agosto scatta il processo davanti alla Commissione disciplinare delle Federcalcio (ci sono anche Cristiano Doni, Thomas Manfredini e l'Atalanta coinvolti) e Marco Paoloni spiega il suo punto di vista su una vicenda che lo ha portato prima in carcere e poi ai domiciliari.
Non indossa i guantoni, ma è pronto a parare. Non i palloni scagliati dagli avversari, ma le accuse della Procura federale (sul piano sportivo) e dei magistrati di Cremona (su quello penale) dopo la conclusione dell'inchiesta 'Last Bet' sul giro di scommesse illegali nel mondo del calcio italiano.
Mercoledì 3 agosto scatta il processo davanti alla Commissione disciplinare delle Federcalcio (ci sono anche Cristiano Doni, Thomas Manfredini e l'Atalanta coinvolti) e Marco Paoloni spiega il suo punto di vista su una vicenda che lo ha portato prima in carcere e poi ai domiciliari. «Mi hanno attribuito cose che non fanno parte della mia persona. Non mi sono mai venduto partite, non ho mai fatto male a nessuno - l'autodifesa dell'ex portiere di Cremonese e Benevento -. Mi hanno dipinto come un assassino: Paoloni l'avvelenatore, il truffatore, lo scommettitore, il corrotto. Spero che col tempo possa venir fuori la vera figura di Paoloni».
Soprattutto, spera di riabilitare il suo nome. «È stato un incubo, ho passato 17 giorni in carcere e 23 ai domiciliari, un'esperienza molto dura. Paura del processo sportivo e penale? Sono sereno e ottimista. Le accuse non mi appartengono. Combatterò e mi difenderò. E se ci sarà una squalifica non sarà un problema. È vero che mi preme tornare a giocare, ma soprattutto riabilitare la mia immagine».
Macchiata «dalle manette ai polsi, dal carcere, dal modo in cui sono stato dipinto sui media». Nella testa di Paoloni è ancora vivo il ricordo di quel 1 giugno, «di quando sono stato svegliato alle 5, trasportato da Benevento a Cremona in lacrime senza capire cosa succedeva. Sono stato schedato come nei film. Mi hanno preso le impronte digitali, fotografato, e non capivo il perché. Uno shock».
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