L’Europa post Brexit
e la sfida di stare insieme

Come ritrovare buone ragioni per il vivere-assieme?, si chiedeva alcuni anni fa Giuseppe De Rita. Più ancora: perché dovremmo stare insieme? Cosa ci lega? Finita la stagione delle grandi narrazioni, qual è il collante che mette insieme donne e uomini diversi?

La fotografia del nostro Paese che abbiamo spesso sotto gli occhi è desolante. Non solo non stiamo bene economicamente, affondati dentro una crisi dalla quale si fatica ad uscire, ma anche civilmente sembriamo aver perso la rotta per una buona e fiduciosa convivenza. Secondo la Fondazione Lanza «là dove ci sono un clima sociale incivile e una società ripiegata su se stessa, rivendicativa e rancorosa, con obiettivi di piccola portata, divisa e diffidente; là dove la società è un insieme sconclusionato di elementi individuali, senza coesione, di soggettività esasperate e senza scopo tenute insieme da connessioni deboli; là dove la sfiducia nell’altro diventa fatto ordinario e “normale” (secondo una ricerca della Fondazione due italiani su tre si dichiarano d’accordo con l’affermazione che ”è meglio guardarsi dagli altri, perché potrebbero approfittare della nostra buona fede”), è chiaro che il legame sociale progressivamente si deteriora e si afferma un clima incivile da guerra di tutti contro tutti».

Giovani contro vecchi, anzitutto. I primi che vedono negli anziani un ostacolo che sta rubando loro il futuro. I secondi che non si fidano dei giovani: li sentono inaffidabili, a volte vacui, a volte cinici. Tra l’altro, vista la retorica di questi giorni, occorre smontare la teoria secondo la quale i giovani britannici si siano dimostrati, con il voto al referendum sulla Brexit, a favore dell’Europa in contrapposizione agli elettori più anziani, apertamente schierati per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

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