La marcia su Parigi
e un nuovo inizio

Quando si «marcia su Parigi» – come i capi degli Stati europei l’11 gennaio – si entra, nel bene o nel male, nella storia del mondo.

Anche se le «conquiste» della Ville Lumière sembrano segnate, tutte, dalla contraddizione e dalle ambiguità. Accadde a Charles de Gaulle, il 26 agosto 1944, quando poté camminare dall’Arco di Trionfo a Notre Dame celebrando la liberazione della città dai nazisti. Quella marcia restituiva alla Francia l’illusione di aver «vinto la guerra» al fianco degli angloamericani.

Ma de Gaulle sapeva bene di dover rimettere insieme i frantumi di un impero e di un Paese profondamente diviso, piagato dal collaborazionismo e dalla rassegnazione di milioni di francesi che avevano subìto o accettato la finta autonomia del governo di Vichy. Quella camminata lungo gli Champs Elysées rappresentava comunque la fine di un incubo, i 4 lunghissimi anni in cui i parigini avevano taciuto sotto i nazisti, ostaggi dell’invidia di Hitler che avrebbe voluto, per il suo Reich millenario, una Berlino che facesse dimenticare la bellezza e il fascino della «capitale del mondo».

Napoleone III fece realizzare dal barone Haussmann, negli anni del Secondo Impero, l’imponente cerchia dei boulevard per fare di Parigi una città moderna, cancellando il labirinto del vecchio centro medievale (il reticolo di stradette intorno alle Halles, quella «corte dei miracoli» che Victor Hugo racconta in «Notre Dame de Paris»). Era, quella di Haussmann e di Napoleone III, un’operazione urbanistica, immobiliare ma anche militare: sui grandi viali che circondano il centro le truppe e i carri si possono muovere facilmente, garantendo un controllo più agevole. E infatti a questo scopo servirono, proprio dopo la caduta dell’Impero, per circoscrivere e reprimere l’insurrezione dei Comunardi nel 1871.

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