Bavagli veri e finti

Lasciamo stare il Bavaglio e anche la sacra difesa della Verità, parole che da qualche anno vengono scritte con la maiuscola non quando un camorrista minaccia un reporter (e ce ne sono), ma quando tira aria di legge sulle intercettazioni.

Lasciamole in pace per due motivi: 1) in Italia più che il bavaglio alla stampa, preoccupa la stampa che talvolta se lo mette spontaneamente; 2) l’unico giornale che si chiamava Verità era la Pravda e - come il mondo s’è accorto in 70 anni di comunismo - non l’ha mai scritta una volta. Messe alle spalle le ambiguità, ci sembra che la legge in via di concretizzazione alla Camera non sia peggiore di tante altre sul delicato tema delle intercettazioni. Due punti chiave: viene tolta l’udienza dedicata alla scelta del materiale intercettato (non ci sembra un gran danno, visto che su giornali e siti finisce regolarmente tutto, dalle conversazioni con rilevanza penale a quelle sul compleanno della prozia) e si introduce la «punibilità fino a 4 anni di reclusione per la diffusione - al solo fine di recare danno alla reputazione altrui - di conversazioni video o audio effettuate fraudolentemente».

La punibilità è esclusa quando il materiale è usato nell’ambito di un procedimento giudiziario o nell’esercizio del diritto di cronaca. Una sottolineatura che dovrebbe differenziare ancora di più i giornalisti veri dagli showmen. C’è un dettaglio che è bene spiegare. La legge non servirà a nulla fino a che non sensibilizzerà anche le procure. Da lì escono le intercettazioni, i pm sono le fonti originarie e tocca a loro distinguere un profilo di reato dal gossip. Con una stella polare per tutti: le persone estranee a un’indagine vanno protette. La loro dignità vale più di uno scoop.

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