Voli pindarici (di linea)

Vorremmo qui parlare di un altro Volo. Non di quello che ha vinto il festival di Sanremo, ma di quello del presidente della Repubblica. Per tornare in Sicilia nel weekend, Sergio Mattarella ha deciso di non far allestire l’aereo di Stato, ma di salire su un volo di linea.

S’è presentato a Fiumicino con due uomini di scorta, ha fatto la fila con gli altri passeggeri, ha mostrato la carta d’imbarco, s’è comportato come un qualunque reale di Norvegia che gira per Oslo in bus.

L’ultimo presidente a comportarsi così era stato Sandro Pertini, che però di uomini al seguito ne aveva quindici, con effetti collaterali imbarazzanti come l’inevitabile accumulo di ritardi, la militarizzazione del volo a scapito dei viaggiatori normali e i costi che rischiavano di andare oltre quelli dell’aereo di Stato.

Nell’Italia dei privilegi e del «lei non sa chi sono io», l’episodio ha avuto un effetto positivo: quello di ricompattare l’opinione pubblica attorno all’istituzione, dopo lo scandaletto di Natale quando il premier Renzi era andato a sciare a Courmayeur con la famiglia sul volo di Stato «per ragioni di sicurezza».

Ma in quell’inarrivabile regno della biliosa accidia che è la rete, il presidente Mattarella è stato richiamato per due mancanze. Prima: ha messo in pericolo 200 persone inermi che sarebbero state bersaglio di un eventuale attentato.

Seconda: si ricordi che il Quirinale costa il doppio di Buckingham Palace e quindi provveda. Secondo noi un presidente che fa la fila al gate provvederà. Detto questo, notiamo che oltre all’italiano in divisa e all’italiano maneggione si va imponendo altro tipo imperdibile della nostra commedia umana: l’italiano col ditino alzato.

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