Ustica, basta la parola

È stato un missile. Dopo 35 anni la Corte d’Appello di Palermo ha stabilito senza ombra di dubbio (ma incrociamo le dita) che ad abbattere il Dc-9 Itavia scomparso nelle acque di Ustica il 27 giugno 1980 è stato un missile lanciato da un aereo che intersecò la sua rotta di volo.

Ottantuno vittime in attesa di Giustizia con parenti giustamente in attesa di risarcimento. La minuziosa ricostruzione del velivolo dentro un hangar come se fosse un modellino. Una tragedia che diventò spunto letterario (Daniele Del Giudice, strepitoso nel suo «Staccando l’ombra da terra») e venne rievocata con chilometri di pellicola in Tv, videocassetta, poi dvd, infine file mp3 come se la vicenda fosse più lunga dell’evoluzione tecnologica che l’ha raccontata.

Un dramma umano, ma anche un intrigo internazionale nel quale generali dell’Aeronautica, esperti balistici, sommozzatori e scatole nere di volta in volta sono diventati protagonisti e comparse. In una parola, Ustica. Trentacinque anni dopo si arriva a definire ufficialmente ciò che si ipotizzava 35 minuti dopo e si scriveva con una certa sicurezza 35 giorni dopo i fatti. Vale a dire che un caccia libico fuori dai suoi spazi aerei o un caccia francese in corso di un’esercitazione Nato avesse combinato il grosso guaio. Comunque missile.

Tutto questo tempo non inficia un risarcimento «da fatto illecito», ma impedisce alle parti civili di ottenere quello per il depistaggio delle indagini. Trentacinque anni. Invece di discutere su prescrizioni più lunghe, il Parlamento dovrebbe impegnarsi a garantire ai cittadini processi più corti. E almeno non generazionali.

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