Una linea di serie C

C’è un’opera che doveva costare 3 miliardi ed è costata 3,7 per non essere finita dopo sette anni di lavori. C’è un’opera che ha subìto 45 varianti e ha fatto venire il mal di testa a tre amministrazioni locali. C’è un’opera definita «un florilegio di inefficienze, errori e negligenze» dal magistrato Anticorruzione che ci sta guardando dentro comprensibilmente allibito.

È la linea C della metropolitana di Roma. Sembra il simbolo del caos istituzionale, politico, burocratico e morale di una capitale specchio d’un Paese disorientato, che vorrebbe fare la voce grossa con l’Europa a trazione tedesca (e qualche buona ragione ce l’avrebbe pure) ma che ne è impossibilitato dai propri imbarazzi.

Sette anni e tre miliardi e 700 milioni di nulla, visto che non solo nessuno può ipotizzare quando il tunnel si concluderà, ma neppure se si concluderà. Manca la parte più delicata, quella che prevede il cantiere dal Colosseo a piazza Venezia fino alla zona di San Pietro.

E tutti questi interrogativi derivano da qualcosa di assurdo, ovvero – come sta scritto nel rapporto dell’Autorità anticorruzione reso pubblico dal Corriere della Sera – di una «carenza di adeguate indagini di fattibilità». Traduzione neppure troppo difficile: dopo un progetto sbandierato ai quattro venti e sette anni di lavori nessuno si è preoccupato di verificare se una linea del metrò possa essere realizzata sotto quei monumenti, sotto la Roma più antica e preziosa.

Comune e società pubblica di gestione dei lavori stanno in silenzio. Possiamo solo aggiungere che i contribuenti ogni anno collaborano nel racimolare 500 milioni per il famoso decreto Salvaroma. E che qualche multa per divieto di sosta del sindaco Marino non è esattamente il problema numero uno.

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