Un uomo al Cairo

La festa è finita. Probabilmente non ha pronunciato la frase, ma l’ha fatta capire con quel misto di formalismo e determinazione che un vero diplomatico sa di trovare nel beauty case delle qualità.

L’ambasciatore Maurizio Massari aveva appena ricevuto una telefonata che gli comunicava il ritrovamento del corpo di un ragazzo - forse lo scomparso Giulio Regeni - in un fosso alla periferia del Cairo. Erano le 20.15 del 3 febbraio e nel salone dell’ambasciata italiana d’Egitto era in corso un ricevimento con 250 imprenditori italiani ed egiziani interessati a investire nei due Paesi. Massari avrebbe potuto prendere tempo e aspettare conferme secondo i canoni aurei della prudenza. Invece no. Si è scusato, ha congedato tutti, è salito su un’auto e si è fatto accompagnare all’obitorio. Lì, secondo prassi consolidate, ha trovato più di un problema nel vedere quel corpo per poterlo riconoscere. Ma invece della pelosa cautela che sta accompagnando i nostri passi ufficiali a livello politico, ha usato la forza della passione, dell’istinto: telefonate, qualcuno dice anche toni di voce più alti. Insomma quel che ci vuole per aprire una porta e conoscere la verità.

L’ambasciatore Massari è un professionista di lungo corso. Ha vissuto gli anni subito dopo il crollo del muro di Berlino dall’osservatorio non marginale di Mosca; è stato consulente a Washington nell’era Clinton. Conosce le regole e le scorciatoie. Oggi spiega: «Vogliamo piena chiarezza e piena luce su questa vicenda. I rapporti tra i Paesi si costruiscono anche sulla fiducia». In questa storia buia l’unico fiammifero è lui, che ha dimostrato d’essere - prima che un diplomatico con la cravatta giusta - un uomo.

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