Un errore bello

Favolosa. La storia dell’aggettivo «petaloso» inventato da un bambino di otto anni a Ferrara e accettato dall’Accademia della Crusca è di quelle che restano e diventano esempio di modernità, di civiltà, in fondo (giusto per essere un po’ pomposi) di democrazia dal basso.

Matteo aveva visto così una margherita, con tanti petali, e lo aveva scritto alla lavagna. Tutto si sarebbe fermato lì se la maestra si fosse limitata a un colpo di tosse o alla smorfia che si fa quando arrivano in tavola le verdure lesse. Invece ha giudicato «petaloso» in questo modo: «Un errore, ma bello». E una delle frasi più stupende che un educatore si possa inventare ha innescato il resto, perché di errori sono costellate le nostre giornate, forse le nostre vite. Ma gli errori belli sono quelli che le cambiano, che raddrizzano i torti e fanno uscire il sole dopo una settimana di pioggia. Così l’intera classe si è ritrovata per un lavoro di gruppo: scrivere all’Accademia della Crusca su foglio protocollo per annunciare l’invenzione di una nuova parola. E chiedere il permesso di usarla.

Tutto così perfetto, tutto così da film di Truffaut. La vicenda sarebbe rimasta nella piccola storia privata di Matteo e dei suoi compagni se i depositari della lingua italiana non avessero a loro volta compiuto un gesto straordinario: hanno risposto. Non succede mai che un’istituzione degni il popolo se non per chiedergli di pagare qualcosa. E invece in questo caso, grazie a Matteo e a una margherita ipertrofica, il mondo ha ritrovato per un attimo l’armonia della creazione. Dove il potere è meno pomposo e gli insegnanti sono più coccolosi.

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